Fate il vuoto attorno ai razzisti

È tanto impensabile quanto reale e reale è il tempo con il quale commentiamo, ancora prima di conoscere le motivazioni (?) che il “signor” Sebastian Colţescu addurrà a difesa del proprio comportamento e delle espressioni che ha usato nei confronti di Pierre Webo, vice allenatore del Basaksehir. A Parigi, dove la civiltà più di una volta nella storia è riuscita a fare uno scatto in avanti. Prima che la UEFA mandasse in giro certi individui, ci viene da aggiungere con sarcastica amarezza.

Ma di quelli che saranno gli strascichi disciplinari, con quel quid d’ipocrisia e prevedibili tentativi di normalizzazione istituzionale, francamente ce ne infischiamo, in questo momento e non solo.

È importante ciò che hanno fatto i giocatori, se permettete. Anzi: ciò che hanno subito pensato di dover fare i giocatori, che è ancora più importante come sfumatura da offrire per far comprendere la portata storica della subitanea decisione e il valore simbolico del gesto. E aggiungiamo: è ancora più importante ciò che hanno pensato di fare quelli del Paris Saint Germain, perché evidentemente toccati allo stesso modo dei loro avversari.

Quante volte abbiamo detto “si dovrebbe fare” ma al tempo stesso pensato che nessuno sarebbe arrivato a farlo? In quei casi perché l’idiozia proveniva quasi sempre dagli spalti e in alcuni casi da qualche giocatore nei confronti di un altro. Stavolta, addirittura, il razzismo scaturisce da una fonte “istituzionale”, vale a dire da uno che in quel momento rappresenta la UEFA.
Però, dicevamo, non lo aveva mai fatto nessuno. Stavolta lo hanno fatto e la portata percepita subito dopo il gesto è già dirompente.

Perché l’immediatezza della decisione e il modo in cui il consenso ha unito le due squadre hanno, in pochi fotogrammi, prodotto effetti più efficaci di mille tavole rotonde, di centinaia di dibattiti, forse addirittura di tanti discorsi fatti a scuola.

Ecco, a proposito del termine: stavolta la spontaneità dell’indignazione ha fatto scuola. Che di mezzo ci fosse la Champions League è un efficacissimo volano “pop”, oltre che uno spot straordinario per tutti quei valori che il calcio spesso tradisce o disattende.
Stavolta no, ed è bellissimo.

Paolo Marcacci