Le cose, all’Olimpico, vanno come devono andare fra una Roma lanciata verso le alte sfere di classifica e un Torino frustrato e nervoso già in partenza, oltre che rivoluzionato e quasi ingarbugliato dalle scelte di Giampaolo. Il Toro picchia da subito, resta in dieci presto (eccessivo il secondo giallo a Singo), lascia Belotti abbandonato nella trequarti avversaria.
Mkhitaryan è caviale Beluga sparso per il campo, in tartine di preziosismi tecnici e un gol, l’ennesimo, pregevole dal punto di vista balistico: l’armeno dipinge l’uno a zero con una conclusione perentoria che bacia il palo alla destra di Savic per poi far fremere tutta la rete.
Percentuali bulgare di possesso palla e un raddoppio che arriva con un rigore ottenuto quando Bremer chiede a Dzeko il malleolo – senza anestesia – invece della maglia. Veretout, dagli undici metri, scrive l’ennesima sentenza.
Avvicendamenti vari, nella ripresa: un occhio ai troppi cartellini distribuiti da Abisso, un po’ vittima della sindrome di Maresca; l’altro al vero e proprio scontro diretto di Bergamo, domenica alle 18. Diciamo subito che sarà l’occasione per irrobustire l’autostima della Roma, soprattutto e indipendentemente dal risultato contro gli uomini di Gasperini.
Il terzo lo cesella Pellegrini, con un sinistro che nello sguardo e nella postura finisce al sette ancora prima di scoccare dal sinistro.
Un finale vivacizzato dall’uno a tre di Belotti, propiziato da un appoggio improvvido di Ibanez e da un Pau Lopez rivedibile, perlomeno, in uscita bassa. Se starà bene e sarà del tutto recuperato Mirante, domenica a chi toccherà? Non è facile la scelta, continuerà a non esserlo. La Roma, per la porta, dovrebbe iniziare ora a guardare al futuro.
Triplice fischio e approdo ai quartieri bene della classifica, pur se senza cogliere il quarto risultato interno a reti bianche, piccolo record che mancava da un po’ e al quale Fonseca teneva.
Fonseca, già: questo signore continua a far brillare il suo lavoro, le sue scelte, la sua difesa del gruppo. Chapeau.
Paolo Marcacci