Stiamo vivendo, inutile negarlo, nel tempo dell‘immunità di gregge rispetto al pensiero critico.
Stiamo vivendo, ancora, nel tempo della docilità di gregge dinanzi alle angherie dei dominanti; angherie che vengono subite silenziosamente, e quasi sempre, anzi, con una resa colma di gratitudine.
I dominati che dovrebbero insorgere rispetto al regime iatrocratico e liberticida che ha preso forma in nome della lotta al virus, ringraziano invece con soddisfazione. Pensano che le misure con cui ci tolgono libertà e diritti siano a fin di bene e servano a garantirci la sicurezza.
In tal guisa, pensando di ottenere una sicurezza che invece non ottengono, se è vero – come è vero – che il virus continua a circolare, perdono però diritti e libertà che difficilmente potranno un giorno tornare ad avere.
Pensano inoltre di salvarsi dalla morte quando in realtà stanno rinunziando alla vita: è bene ricordarlo, la paura della morte ci impedisce di vivere, non certo di morire.
Ebbene, nella narrazione dominante che si è collaudata e consolidata in questi mesi, merita di essere ricordato un teorema che più volte ho richiamato e che torna con insistenza quasi maniacale: è il teorema della pandemia infinita.
Se la pandemia è infinita, vuoi perché dura, vuoi perché ne subentrano di nuove ancor più letali, ne segue che infinita deve essere anche la misura emergenziale atta a contenerla; vale a dire la condizione d’emergenza, lo stato d’eccezione epidemiologico che si è generato, e nel quale – inutile ricordarlo – vengono proposte misure che sarebbero di per sé inaccettabili nella normalità, ma che invece, data l’emergenza, divengono non solo inaccettabili: di più, inevitabili.
Così credo debba essere letta l’affermazione della nota Dottoressa Ilaria Capua riportata in questi giorni da molteplici fonti, tra le quali anche il Messaggero, che così titola: “Covid, la virologa Ilaria Capua: ‘Siamo sfiniti, ma prima del 2023 non ci libereremo dalla pandemia“.
Si badi, nell’affermazione della dottoressa Capua non si parla del 2023 come anno in cui finirà certamente la pandemia. Niente affatto.
Si parla del 2023 semplicemente per dire che fino a quella data è certo che non finirà la pandemia. Dopo non è chiaro quel che accadrà! Anzi, potrebbe durare anche dopo il 2023.
Bisogna allora porre con onestà una domanda fondamentale, la domanda decisiva alla cui luce interrogare il nostro presente: sono le misure emergenziali che non devono finire perché vi è la pandemia, o la pandemia non deve finire perché vi sono le misure emergenziali?
Da questa domanda dipende la comprensione di questo nuovo dispositivo – come vorremmo chiamarlo con Focault – in virtù del quale la pandemia ha bisogno delle misure emergenziali almeno quanto, l’abbiamo capito, le misure emergenziali hanno bisogno della pandemia, se è vero – come è vero – che nel momento in cui terminasse la pandemia dovrebbero cadere improvvisamente anche le misure emergenziali, le quali per poter sopravvivere necessitano di un’infinita pandemia.
Una pandemia che durerà sicuramente almeno fino al 2023 – come ci è stato detto in questi giorni – forse anche oltre. Non è dato sapere.
Del resto gli ierofanti del potere non hanno fatto alcun riferimento a una data certa della fine. Sono sempre stati molto vaghi.
Hanno lasciato da subito intendere, in fondo, che la pandemia era cominciata e non si sapeva – invero – né quando sarebbe finita, né semmai davvero potesse giungere alla fine.
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro