Roma: quando difendiamo anche i tifosi?

Un aspetto, perlomeno uno, in questo momento romanista sarebbe stato da evitare: che la guida tecnica di Paulo Fonseca rischiasse di vivere mesi declinanti e traballanti come fu per l’ultima parte della guida tecnica di Rudi Garcia. La china invece sembra essere proprio quella e la sensazione non cambierebbe nemmeno se sabato pomeriggio verso le 17 la Roma si ritrovasse con tre punti in più dopo la gara con lo Spezia.

Sarebbe provocatoriamente banale, anche se al tempo stesso vero, premettere che i gol contro lo Spezia in Coppa Italia non li ha sbagliati lui e che due cartellini rossi in un giro di lancetta non se li è autoprocurati. Ma non è tempo di sfumature assolutorie per nessuno, dopo ciò che è successo. Premesso che qualsiasi allenatore sta dove sta anche perché il capro espiatorio deve essere sempre a portata di mano e che nel caso di quelli della Roma c’è ormai una statistica da Triangolo delle Bermuda (tranne Spalletti che aveva scelto di andarsene), vorremmo sollevare un’altra questione, in queste ore di spifferi e confronti quasi pubblici.

La questione, viste le prese di posizione, anche encomiabili dal punto di vista della solidarietà individuale nei confronti di Gombar, è apparentemente marginale, in realtà sostanziale per gli umori di una tifoseria sottoposta a un decennio di saliscendi emotivi con prevalenza di frustrazioni: quando sarà che i giocatori, soprattutto quelli più rappresentativi, con altrettanto slancio e con assunzione pubblica di responsabilità chiederanno scusa ai tifosi?

Perché se è vero che tutti i calciatori importanti danno la sensazione di vivere in una torre d’avorio, per quelli della Roma negli ultimi anni sembra che questo distacco sia stato istituzionalizzato: quale che sia il risultato, se il tifoso critica non capisce; dà fastidio persino chiedere scusa a denti stretti perché comunque la squadra ha fatto il massimo e via deresponsabilizzando.
Fino all’approdo, consueto, al più abusato dei luoghi comuni: a Roma non si può lavorare perché c’è troppa pressione, le radio, gli umori altalenanti. Ossia il famigerato ambiente.
Così il tifoso diventa pure colpevole, alla fine della fiera. Cornuto e mazziato, si diceva un tempo.

Paolo Marcacci