Nelle Tv abbiamo assistito, in questo ultimo anno, a numerose dichiarazioni dei vari intellettuali per promuovere lo smart working e la didattica a distanza per bambini. Addirittura, molti personaggi dello spettacolo, si sono prestati a dei veri e propri spot mostrandosi in casa mentre lavorano o mentre seguono i figli nella DAD. Certo, se hai una casa a due piani, la connessione ultraveloce e la srilanchese che ti sostituisce appena spengono le telecamere della diretta Tv, mi sembra evidente poter apparire sorridenti mentre si accarezza il figlio che segue la lezione a distanza.
Il problema è che milioni di italiani vivono in appartamenti molto piccoli, hanno una connessione scandente. La stessa stanza viene condivisa dal figlio in DAD e dal padre in smart working. E la mamma, che segue la didattica a distanza, è quasi sempre anche quella che porta avanti le faccende di casa, che stira, lava, cucina. E che è sotto stress per non avere soldi, perché ovviamente quel lavoro non gli viene riconosciuto e non può farne altri.
Allora ve lo dico con il cuore, come direbbe Barbara D’Urso, che spesso ci ha mostrato queste immagini idilliache delle allegre famigliole vip alle prese con la DAD. Andatevi a leggere i risultati dello studio condotto dal Center for disease control americano, effettuato su 1300 genitori con figli fino a 12 anni che hanno eseguito le lezioni con la didattica a distanza, imposta ormai da un anno a causa della pandemia. I risultati fotografano un tremendo aggravarsi della situazione psicofisica di genitori e alunni. Pensate che l’elevato aumento dello stress registrato ha spinto molti genitori a ricorrere a psicofarmaci, all’alcool. Soprattutto per far fronte ai disturbi del sonno che poi hanno una diretta conseguenza sull’eccessiva irritabilità, sugli sbalzi di umore, sull’ansia, sulla depressione. Pensate che la gravità dei disturbi è risultata direttamente proporzionale al protrarsi delle lezioni online.
Infatti questi fenomeni sono notevolmente attenuati su genitori che invece avevano figli in luoghi dove i piccoli hanno continuato ad andare a scuola in presenza. Addirittura è diventato più acuto il fenomeno del “burn out”. Cioè di genitori che hanno esaurito le proprie risorse psichiche a causa del troppo tempo dedicato ai bambini in condizioni di stress. E che presentano quindi una sorta di rifiuto verso i figli stessi. Fenomeno che comunque gli crea il fatto di non sentirsi più in grado di potersene occupare e che porta, tutto questo, alla depressione dovuta anche al senso di colpa che questi genitori provano.
In pratica le mamme sentono di non avere più risorse energetiche e mentali per affrontare la quotidianità del lavoro con i figli perché non hanno tempi di recupero.
Stesse problematiche sono state riscontrate, sempre dal Center for disease control, anche nei bambini. Quelli costretti alle lezioni in DAD risultano più tristi, più coinvolti nello stress da pandemia, più annoiati, più soli, più introversi. Eppure, da un anno a questa parte, nonostante i dati continuino a dimostrare che la scuola è l’ultimo dei veicoli di contagio, soprattutto fino a 14 anni. Quindi dovrebbe essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire, basandoci su dati scientifici che vedono i focolari nelle scuole come estremamente rari. L’unica soluzione continua ad essere quella di chiudere tutto, senza mai pensare a prevenire o a gestire prima di adottare la soluzione più estrema e, come abbiamo visto, più dannosa.
Io spero vivamente che le case farmaceutiche non abbiano messo in conto di arricchirsi anche con gli psicofarmaci, dato che questa pandemia sembra essere stata per loro la gallina dalle uova d’oro.
Allora massima solidarietà alle mamme per il loro infaticabile lavoro non retribuito. Massima solidarietà ai bambini, a cui stiamo togliendo la spensieratezza dell’infanzia. Donne e bambini sono sempre stati tutelati per primi in qualsiasi piano di emergenza al mondo, dal più piccolo al più grande. Mai come questa volta, il piano di emergenza si sta strutturando proprio sulla loro pelle, proprio ai loro danni.
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