“Niente sarà più come prima“: quante volte l’abbiamo sentito pronunciare in Tv da virologi ed esperti in microbiologia durante le loro “salottate”?
Per un certo verso questo è già successo nel mondo del lavoro. Lo smart working sta cambiando totalmente gli equilibri nello stile di vita, ma anche il lavoro nel suo senso più pratico e nelle richieste di nuovi profili di lavoratori, più in linea con il presente ed eventualmente, con il futuro.
Già perché oggi non siamo affatto alla conclusione del processo di cambiamento, anzi, siamo appena all’inizio.
Ce lo hanno spiegato a ‘Lavori in Corso’ la Prof.sa Cristina Sofia, docente di Reti Sociali e Stili di Vita alla Sapienza di Roma e il Prof. Giovanni Lo Storto, Direttore Generale dell’università LUISS.
Prof.sa Sofia: “Smart working? Più telelavoro”
“Il mondo del lavoro è profondamente cambiato a seguito della pandemia, ha avuto uno shock a livello strutturale e del punto di vista delle relazioni che legano i lavoratori alle aziende, ma anche alla pubblica amministrazione, così come per quanto riguarda le sfere delle azioni familiari. I lavoratori hanno subito uno shock nella loro vita.
Purtroppo molti hanno perso il lavoro, ma molti altri sono stati costretti a doversi reinventare come smart worker. Abbiamo quindi assistito alla diffusione dello smart working sia all’interno del settore pubblico, sia nella pubblica amministrazione e addirittura nel terzo settore. Tutto il mondo del lavoro si è ripensato in un’ottica di lavoro nuova.
Ovviamente esistono molte sfumature di smart working, quello che noi stiamo vedendo in questa fase somiglia molto più al telelavoro, perché non libera l’energia e la creatività del lavoratore e non lo rende autonomo.
Siamo in un momento di passaggio in cui ancora nulla è definito, ma siamo in via di ridefinizione e di questo modello“.
Prof. Lo Storto: come cambierà la richiesta
“Il mondo del lavoro sta cambiando in maniera anche radicale, per questo anche il tema dello smart working muta, cambia. Quando usciremo dall’emergenza – speriamo presto – forse sarà anche molto più semplice vedere ciò che ora vediamo con più difficoltà.
Certamente le professioni che verranno richieste avranno al centro molto più il digitale di quanto non lo abbia avuto fino a ieri. Questo anche per chi non è così giovane: ricordiamoci che noi nella categoria dei NEET (Not in Education, Employment or Training), cioè gente che non sta studiando, non sta lavorando, non si sta formando, abbiamo 2,5 milioni di persone e arriviamo ben oltre la categoria di quelli che potremmo definire giovani.
Per questo è necessario ancora una volta investire nei corsi di laurea che potranno incrociare meglio il mercato, noi della LUISS abbiamo un corso di laurea in sostenibilità e collegamento col mondo dell’innovazione. Oppure in “Data science e management”, il management della gestione dei dati, ovvero il tipo di competenze che sono utili per rinnovare e rendere le aziende più pronte alle sfide del mercato“.