Nelle precedenti pillole ricordavo che il pensiero classico basato sullo scambio è stato spacciato dal neoliberismo come un pensiero molto moderno, quando in realtà si rifà a un modello di società della fine del XIX secolo.
La globalizzazione unitamente a logiche di regimi fiscali agevolati e sfruttamento del lavoro è spesso stata combinata a fenomeni di importazione di massa di forza lavoro da paesi sottosviluppati. Importazione di immigrati clandestini voluti dalla grande finanza ai fini della deflazione salariale, ossia dell’abbassamento dei diritti dei lavoratori residenti e quindi dei prezzi del lavoro per effetto dell’aumento dell’offerta a parità di domanda.
In modo moralistico si pretende di nascondere la realtà cambiando i termini, usando espressioni atte a far accettare e ritenere moralmente accettabili le perdite dei diritti dei lavoratori residenti nonché un livellamento verso il basso dei salari.
Qui espongo una visione radicale. Non lesino termini come immigrati clandestini a quelli che effettivamente sono così.
L’abbassamento dei prezzi del lavoro per una alterazione creata ad arte ha avuto l’effetto di abbassare i diritti dei lavoratori. Di tutto questo non vi è cenno perché tutto viene spiegato in logica moralistica con termini che cercano di uscire dal dibattito economico. Ma è indubbio che sul mercato del lavoro un fenomeno chiaro come l’importazione di massa di persone disperate da altri paesi se organizzato dalla grande finanza ha certamente il grande vantaggio di abbassare il costo del lavoro e dunque di esportare alcune attività in altri paesi del mondo dove le situazioni fiscali sono un grande vantaggio per le corporate, cioè per le multinazionali.
Malvezzi Quotidiani, pillole di economia umanistica con Valerio Malvezzi