80 anni e un chiodo fisso: quello di ristabilire libertà e verità nella ricerca scientifica. Non certo libertà di sbagliare o di portare avanti teorie strampalate, ma libertà di cura e libertà di ricerca: due chimere che il Prof. Giuseppe Di Bella combatte da una vita per riportare all’ordine del giorno dei camici bianchi.
Ce n’è sempre meno di libertà, quindi di indipendenza della medicina, quindi di verità. Infine, sommando il tutto, ne risulta un cocktail di ordini e direttive lontani dal vero proposito della ricerca scientifica: la salute e la vita di tutti.
Si è proceduto piano piano: dall’abolizione della legge cosiddetta “Di Bella”, stabilità nel 1998 su impulso di manifestazioni popolari, allo stretto controllo dei ricercatori indipendenti da parte degli organi politici che si è fatto più stringente dopo il 2012.
Ma Giuseppe Di Bella non demorde, e continua il suo lavoro scientifico e divulgativo: “Devo tenere botta finché riesco“, dice in occasione dei suoi 80 anni.
Ecco l’intervista concessa al direttore Ilario Di Giovambattista.
“Nel ’96 mio padre, il professor Di Bella, aveva già curato tanta gente e uno degli elementi fondamentali era la melatonina. Siccome cominciava a dare veramente fastidio, ci fu un decreto legge il 25 aprile 1996 firmato dal presidente della Commissione Unica del Farmaco, il professor Garattini, che dichiarava penalmente perseguibile il medico che avesse prescritto la melatonina e il farmacista che l’avesse preparata. Era fatto ad hoc naturalmente.
C’era già un’ampia letteratura che dichiarava tossicità zero. Non c’era dose minima letale per la melatonina.
Questo decreto legge naturalmente provocò una reazione in tante persone. Il professor Di Bella, alla fine della ricetta in cui inseriva la melatonina, scriveva che “il decreto legge ne fa divieto”. Poi prescriveva la ricetta e firmava. Questo è un esempio ed è il primo insegnamento che voglio dare. Al di fuori e senza questo, tutto il resto è vanificato.
Bisogna avere il coraggio di imporre la verità, di difendere la verità a costo di rischi personali anche elevati. Il decreto legge fu ritirato a furor di popolo. Fu ritirato perché incostituzionale, ma soprattutto perché la gente allora è scesa in piazza. La gente si fece carico, si interessò e ha reagito. Un invito è questo: se il medico prescrive in scienza e coscienza non va lasciato isolato. Se qualcuno si espone va difeso. E’ necessaria nuovamente una mobilitazione come accadde nel ’98 per rivendicare l’assoluta libertà di terapia secondo scienza e coscienza.
I medici oggi sono sempre più condizionati, sono sempre più minacciati, sono sempre più costretti da una serie di imposizioni più o meno dissimulate.
Non solo, in questo percorso di limitazione delle libertà del medico si aggiunge un aspetto gravissimo: la libertà di ricerca scientifica. Ci fu un decreto legge n.158 nel 2012 con gravissime sanzioni. In pratica il medico, che in maniera autonoma e non dipendente da nessun finanziamento di multinazionali – quindi a sue spese – fa una ricerca scientifica, può essere perseguito se non c’è l’assenso di un comitato etico. Comitato etico che, ovviamente, da chi può essere eletto? Viene eletto nel contesto di un potere accademico, di un potere politico, di un potere generale, di un potere istituzionale.
Sempre più ricercatori, scienziati, medici, clinici seguono questo percorso di libertà di ricerca. Sfidano il regime, sfidano un sistema di potere internazionale il quale rivendica in maniera assoluta, categorica e tirannica il monopolio della ricerca scientifica. Ci sono tutta una serie di condizionamenti e di coercizioni.
Nonostante questo progressivamente, ma lentamente, il numero di ricercatori liberi sta aumentando.
L’elemento base è questo: oltre a rivendicare la libertà di terapia, occorre rivendicare la libertà di ricerca. La ricerca non deve essere assolutamente condizionata da nessuno, tantomeno da circoli di potere come quello politico e quello finanziario internazionale. Proprio la ricerca libera può superare l’attuale blocco nella ricerca del cancro e di tante malattie“.