Mancano pochi giorni alla partita col Cagliari di domenica 9 maggio alle ore 15:00 al Vigorito. L’incontro è uno di quelli che sulla carta crea insonnie e ansie alla maggioranza dei diretta-mente coinvolti.
E’ da tre anni che seguo il Benevento in modo ossessiva-mente quotidiano. Ho sofferto e gioito insieme a loro. Ora non posso negarlo, sono molto preoccupato.
Fra streghe e stregoni, e divinatori vari e bari, però, vi è un ‘visionario quantistico’ che prevede le partite; una specie di contemporaneo uomo-plutoniano che visualizza in modo iperrealista ciò che avverrà. Questo uomo, modestia a parte, sono io: il Vostradamus sannita! (sic!)
Avevo già avvisato Pippo di non cambiare squadra dopo la vittoria della Juve, e lui non mi ha ascoltato, ho tentato di dargli qualche ‘consiglio’ empirico, ed invece esso è stato preso come antipiretico. Insomma, dall’alto della sua fama, Filippo Pippo, ha fatto ciò che ha ritenuto meglio e la sua faccia contratta, contrita, addolorata, smarrita, ferita, mi è apparsa sconvolgente dai primi piani tv, da far passare in secondo piano la rabbia per la sconfitta e la fitta del cuore; di questo oramai ‘corazòn espinado y estregado’ che sta piangendo lacrime di sangre.
Pippo caro, Cícciu méu, don Oreste esimio, ascoltatemi, per favore, con umiltà. Io sono la voce plutoniana del già visto. Tutti i ‘creatori’ di staffette calcistiche (memorabile Mazzola-Rivera) hanno pagato, chi a Montezuma, chi a Montecatini, con una svalutazione mondiale umiliante ed eterna della loro persona. Perciò, evitate la imbarazzante staffetta Viola-Schiattarella. I giocatori di personalità e talento vanno fatti giocare sempre, insieme. Il campo è grande. Il posto giusto si trova. Anzi, non c’è bisogno che lo trovi loro nessuno: i grandi giocatori, il posto in campo, lo trovano da soli.
Il Benevento ha bisogno di entrambi; ha bisogno anche di Letizia; pur se a metà; di Caprari (ma meno egoista). Il Benevento ha bisogno di ritrovare la fiducia persa nei labirinti ipertecnologici del calcio. Ha bisogno della pacca sulla spalla, del “Forza ragazzi!” del “Uno per tutti e tutti per uno” di “ Hasta la victoria, siempre!” gridato dai latinos Gaich, Lapadula e Tello!
Somaticamente in campo, i giocatori, invece che vivi, appaiono ripiegati su se stessi, tristi in viso come le mutande delle nostre vecchie nonne. Appaiono esangui, come chi teme il confronto con gli avversari; appaiono smarriti negli occhi inquieti e fluttuanti nel nulla. Non è possibile che giocatori vicini all’idolatria fino a qualche mese fa, oggi si defechino addosso quando arriva loro la palla.
L’uomo-plutoniano metterà tutti i pianeti in ordine, per la vittoria, ma voi che decidete la squadra, fate giocare i migliori; quelli che danno del ‘tu’ al pallone.
Perché il calcio non è delle pippe. E’ dei Pippo, per ricordarne uno bravo.
Mimmo Politanò