E’ interessante notare come, in risposta al mio articolo sul La Stampa contro il Ponte sullo Stretto di Messina, una battaglia culturale che porto avanti almeno da 20 anni, siano venute fuori reazioni di qualsiasi tipo. Reazioni che hanno però un minimo comune denominatore: non sanno assolutamente quello di cui stanno parlando. Si parla di ponti costruiti in paesi dove c’è un rischio sismico molto elevato, questo è vero, ma io non asserisco al fatto che non si possa costruire il ponte sullo Stretto di Messina. Anzi, dico che si può costruire.
Si parla del fatto che altrimenti i ponti non sarebbero stati costruiti a San Francisco, e in altri posti nel mondo. Ma questo non cambia proprio niente. Il Golden Gate è un ponte del 1937, figlio di un altro modo di vedere le cose. Oltretutto perde qualcosa come 30 milioni di dollari all’anno, pur pagando un pedaggio piuttosto basso. Quindi significa che anche in quel posto, dove è parecchio utilizzato, non riesce ad essere remunerativo.
Così il ponte di Oresund, che prima di essere completato tra Svezia e Danimarca, che sono per inciso due nazioni con un PIL molto più elevato delle due regioni Calabria e Sicilia, ha avuto bisogno per almeno 1/3 dell’aiuto statale anche se doveva essere privato. Così come il tunnel sotto la Manica, che è stato in perdita per decenni, e poi è ritornato in pareggio soltanto adesso.
Dunque stiamo parlando di esempi che non calzano. Queste persone che replicano non ci sono mai state in quei posti. Io invece li ho visitati tutti, uno per uno. Sono stato anche al ponte Akashi a Kobe: ponte che non ha retto al terremoto del 1995, per il semplice fatto che non era stato ancora completato. Fu riprogettato e spostato, dopo quel terremoto, proprio perché era stato messo nel posto sbagliato. Adesso è funzionante ma ancora non sappiamo come si comporterà con il prossimo terremoto.
Il problema però, ripeto, non è quello. Il problema non è sapere se un ponte è possibile costruirlo anche in una zona altamente sismica, senz’altro si può, basta commisurarlo a quel rischio che in Sicilia potrebbe essere magnitudo 7,2-7,3-7,5 Richter.
Il Problema è che, dopo aver speso un sacco di soldi – magari statali – per quest’opera, in caso di terremoto anche più basso, quel ponte unirebbe due cimiteri. Questo perché meno di un quarto delle abitazioni e delle strutture nella Provincia di Reggio e di Messina, prospicenti al ponte, sono in grado resistere al terremoto.
Dunque è una questione di priorità e di gerarchie. Prima metto a posto questa roba, perché non saresti mandato assolto da nessuna giustizia intergenerazionale dall’aver messo denari pubblici – cioè anche nostri – prima per il ponte e soltanto dopo per salvare le vite. Prima metti in sicurezza quei centri abitati, e poi casomai ridiscutiamo quel ponte.
GeoMario, cose di questo mondo – Con Mario Tozzi