Nella precedente pillola ho parlato di potenziale conflitto di interessi tra grandi operatori di asset management internazionali, consulenti di Stati, governi e Commissione Europea, e il loro lavoro normale di acquisire asset tra i quali anche le banche. Proseguo nel dire che poco importa che tali banche siano state soprattutto nel nostro paese il motore dell’economia reale, mi riferisco alle banche medio-piccole. Quelle che per dimensioni non hanno accesso al canale diretto, cioè al canale borsistico, per una serie di ragioni legate a costi di accesso, trasparenza informativa e reputation. Così i profitti vengono creati nell’economia capitalistica in un circuito capitale-capitale e non più capitale-lavoro come avverrebbe nell’economia umanistica.
Le banche che hanno consentito lo sviluppo del nostro paese sono quelle che hanno consentito lo sviluppo delle piccole e medie imprese italiane che a partire dal dopoguerra hanno creato il miracolo italiano. Oggi i ragazzi hanno perso quella memoria perché viene loro raccontata una storia completamente diversa. In realtà quel sistema di banche finanziava il sistema dell’economia reale italiana di piccole, medie e micro imprese.
Le micro imprese, quelle con meno di 10 dipendenti, sono quelle che danno più posti di lavoro in Italia, eppure sono quelle meno tutelate. I profitti vengono creati dall’economia capitalistica in un circuito capitale-interesse-montante-capitale: queste sono le regole nelle quali noi oggi abbiamo una fiducia cieca e incrollabile. Ma in realtà bisognerebbe smontare quel giocattolo e tornare a parlare di un circuito capitale-lavoro, il capitale cioè dovrebbe avere come obiettivo la creazione lavoro e il lavoro dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale della politica economica degli Stati. Così non è, parliamo di sussidi e reddito di cittadinanza.
Malvezzi Quotidiani, pillole di economia con il Prof. Valerio Malvezzi