Ora anche il filosofo Galimberti va contro quelli che rifiutano il vaccino obbligatorio: “sono schiavi di convinzioni infondate”

Ho grande stima umana, culturale, filosofica di Umberto Galimberti per tanto quelle che seguono vogliono essere pacate considerazioni filosofiche in stile socratico propedeutiche per un auspicabile dialogo pacifico supere con posizioni assai differenti e a tratti anche opposte. Umberto Galimberti è indubbiamente uno dei più acuti interpreti del nostro tempo e del nichilismo che lo infetta alle fondamenta. I testi di Galimberti sono in generale uno splendido manifesto filosofico di critica del nichilismo della civiltà della tecnica sul fondamento dei punti più elevati della tradizione filosofica occidentale. Il limite della filosofia di Galimberti sta a mio avviso nel fatto che egli, spietatamente critico verso il mondo della tecnica, finisce inconsapevolmente per produrre la sua più grande apologia seppure in forma indiretta. Nei suoi testi infatti Galimberti non dice ingenuamente che la tecnica è il migliore dei mondi possibili, come direbbe uno dei tanti Pangloss contemporanei. Al contrario Galimberti critica la tecnica e le sue molteplici contraddizioni, salvo poi ribadire ad oltranza che essa è intrasformabile e dunque non c’è più nulla da fare se non adattarsi.

Non già dunque la modalità marxiana della prassi trasformatrice bensì il disincantato e depressivo corollario heideggeriano secondo cui solo un Dio ormai ci può salvare è il tratto distintivo della filosofia galimbertiana. Il libro Psiche e techne ne offre una preziosa testimonianza. L’oggetto criticato finisce per essere giustificato nell’atto stesso con cui lo si proclama intrasformabile. La critica teorica si risolve nell’aperta apologia pratica di un mondo storico indegno finché si vuole ma comunque giudicato immutabile e dunque tale da dover essere accettato nella sua contradittoria datità. La critica si capovolge così, in Galimberti, in un dissenso conservativo e da luogo ad un’apologia indiretta e ancora più efficace dell’ordine della tecnica e dei mercati. Questa in estrema sintesi la critica filosofica e politica che ho mosso a Galimberti nel libro La notte del mondo: Marx, Heidegger e il tecno-capitalismo. Da un anno a questa parte Galimberti è tuttavia divenuti un instancabile apologeta del nuovo leviatano tecno-sanitario e con esso delle benedizioni di massa che esso propone in nome della fede nella scienza. La scienza stessa viene oggi intesa più come un dogma, come una religione, come qualcosa di intrinsecamente non scientifico. Sembra paradossale che Galimberti abbia abbandonato la critica teorica di cui precedentemente era, per altro in modo convincente, portatore. Non è forse vero che il leviatano tecno-sanitario e il nuovo ordine terapeutico sono a tutti gli effetti i figli illegittimi quando non i prodotti necessari di quella società tecno-morfa che Galimberti fino ieri criticava con rigore speculativo e vigoria intellettuale? Si è dunque Galimberti riappacificato anche sul piano teorico con la da lui sempre criticata civiltà tecno-morfa?

Sul nesso tra tecnica ed epidemia si vedano oltretutto i sempre lucidi contributi di Giorgio Agamben che non per caso ha ravvisato il fulcro della nuova normalità nel combinato disposto di distanziamento sociale e tecnologia digitale. In effetti l’esortazione a sottoporre al trattamento sanitario obbligatorio quanti non vogliano assumere per una ragione o per l’altra il siero benedetto, sempre laudando in saecula saeculorum, ce la saremmo agevolmente potuta attendere da uno dei tanti virologi superstar o da uno dei tanti politici in livrea fucsia se di sinistra e bluette se di destra che servono ossequiosamente i mercati e le loro classi. Non ce la saremmo certo potuta aspettare dal filosofo Galimberti, rigoroso fustigatore della civiltà tecnicizzata e delle contraddizioni che la innervano ma poi anche già solo in quanto filosofo amico delle pratiche discorsive socratiche più che della sorda violenza della coazione. Come d’altro canto non ci saremmo aspettati dalla bocca del sempre stimato filosofo milanese le parole che seguono pronunciate su La7 qualche giorno addietro in relazione alla possibilità d’introdurre l’obbligo della benedizione con il sempre laudando siero: “Non consideriamo liberi quelli che sono schiavi delle loro convinzioni infondate”.

Mi siano allora consentite due sole considerazioni a riguardo, anche esse puntualmente volte a far scaturire un maturo e garbato dialogo socratico. Forse lo stimato Umberto Galimberti non si avvede che con quelle parole si può giustificare qualsiasi tipo di regime “pastorale” come lo definirebbe Foucault? Anche le convinzioni di Spartaco, dei Ciompi e dei Sanculotti e poi di Gramsci apparivano infondate a chi aveva tra le mai di volte in volta ben saldo lo scettro del potere, e che, eo ipso, aveva tutto l’interesse materiale a tenere fuori legge tutte le versioni non omologate e potenzialmente eversive. Secondo punto, perché mai chi ha dei dubbi e delle domande o anche generalissime perplessità deve essere definito schivavo di convinzioni infondate? Non sappiamo forse, in specie i filosofi, che di certezze granitiche sono piene le caverne platoniche, laddove il dubbio e il domandare socratico, sono quelli si, il fondamento stesso del filosofare. Perché mai dunque, Galimberti, bisognerebbe criminalizzare il dubbio e la problematizzatone critica che anzi andrebbero a rigore sempre valorizzate? Ad esempio significa essere schiavi di facili convinzioni domandare quale sia la sicurezza di un siero sul cui bugiardino si parla testualmente del 2023 come anno a partire dal quale si potrà verificare la sicurezza? Significa essere schiavi delle proprie infondate convinzioni sollevare dubbi e anche critiche rispetto alla tessera verde e alla discriminazione a norma di legge che essa introduce per i non benedetti dal siero? Ancora, significa essere schiavi delle proprie infondate convinzioni sollevare dubbi a proposito della benedizione coatta per i più giovani e anche per i bambini? Ovviamente Galimberti è troppo intelligente per cadere nel tranello con cui vengono appellati indistintamente con l’infame categoria di no vax tutti coloro i quali abbiano dubbi, perplessità e domande. Sembra però davvero che nell’ultima fase il sempre stimato Galimberti si sia riconciliato con la tecnica e abbia invece divorziato dal dialogo e dal dubbio socratico che aveva sempre egregiamente coltivato.

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