Parlare dell’Afghanistan oggi significa parlare di quello che sono gli Stati Uniti, la potenza mondiale che ha decine di migliaia di soldati al fuori dai confini, su basi militari sparse in tutto il mondo, con bombe atomiche, volontà di controllare, esercitare l’imperialismo e quello che viene definito nei fatti il controllo delle risorse energetiche del pianeta.
Se voi prendeste le mappe delle guerre o delle zone di tensione del mondo scoprireste che si sovrappongono alle mappe delle risorse prime energetiche, carbone, petrolio, gas, terre rare…
Chiaro che questi Stati Uniti sono l’espressione, già coniata nel 1961, del famoso ‘complesso militare industriale’, a cui non interessa nulla della democrazia, del destino dei popoli.
Se vediamo quello che è successo nel mondo, dalla Corea al Vietnam, la Siria, l’Iraq, l’Ucraina… È sempre presente questa dinamica del complesso militare industriale degli Stati Uniti. È un qualcosa che va al di là degli stessi presidenti che contano sempre meno.
Quello che accade in Afghanistan è collegato a quello. L’Europa e l’Italia hanno subito vent’anni di guerra, nove miliardi di euro di spese, 54 morti, per esportare cosa? La democrazia? Ma quando mai! Siamo stati a rimorchio di questa dottrina statunitense che oggi probabilmente, dopo aver foraggiato prima il terrorismo dei mujahidin, poi quello dei talebani, poi quello dell’Isis forse lo fa anche contro i talebani…
Questo attentato così strano, preannunciato, consentirà agli Stati Uniti di sganciarsi ulteriormente da quel territorio secondo dettami che non sono quelli della logica delle persone normali, perché dietro questo c’è appunto la logica di un complesso militare industriale che oggi fa tanto tanto danno nel mondo e che possiamo definire come un imperialismo in declino, ma che può dare dei colpi ancora terribili all’intera umanità.
3 minuti con Marco Rizzo