Il desiderio mai sopito del potere è da sempre il consenso assoluto. Alle origini dell’autorità politica si scorge nelle sue pieghe il sogno dell’assolutismo. Il percorso democratico si è posto storicamente come cammino di graduale resistenza alla spinta monocratica. La libertà individuale e il libero arbitrio nascono come forme di opposizione all’unicità, al potere che non conosce limiti in quanto naturalmente fondato sul “monopolio della violenza”.
Nell’anno dei 150 anni dalla nascita di Trilussa, la poesia del poeta romano diviene il simbolo dell’irriverenza contro potenti e politicanti. Le sue parole che si muovono sul ritmo caustico del dialetto romano non perdono ancora oggi la propria forza. Partendo dal suo tempo e arrivando ad oggi, la poesia di Trilussa non smarrisce la potenza delle sue sferzate contro il potere e del suo atavico desiderio del consenso assoluto. Apparentemente scritta ai nostri giorni, la poesia “Però” letta nel 2005 dalla voce di Gigi Proietti, irride un potere dalla volontà assoluta e sempre uguale a se stesso seppure apparentemente incarnato nelle nuove forme della contemporaneità. Trilussa diviene allora manifesto di un’ironia mai doma ai diktat dei potenti.
Fabio Duranti e Alessandro Meluzzi presentano ad “Un giorno speciale” l’interpretazione di Gigi Proietti della poesia “Però” di Trilussa
La poesia di Trilussa presentata da Fabio Duranti
“Mi piace moltissimo il dialetto romanesco e lui non scriveva in un dialetto stretto per far comprendere a tutti. Un grande amico di Radio Radio, ma di tutta Italia e di tutto il mondo direi, l’ha letta questa poesia molto meglio di quanto la leggerei io. Era il 2005 e Gigi Proietti ci ha declamato questa poesia di Trilussa: la poesia si chiama “Però”. Sono passati sedici anni ma non è cambiato nulla. Trilussa contemporaneo ancora oggi, denunciava queste cose perché sapeva che gli uomini sono schegge impazzite”
La declinazione del potere secondo Alessandro Meluzzi
“Rispetto a questi ultimi trent’anni di storia italiana, se dovessimeù riassumerli in pochi tratti, dopo la Repubblica dei partiti, dei Togliatti, De Gasperi, Cossiga, Andreotti, abbiamo avuto l’era berlusconiani che dai grandi culturi della sinistra è stata definita ‘l’era del potere attraverso i media’. Dalla Repubblica dei drive-in a quella del catto-comunismo. Questa seconda fase è stata sostituita da un potere bio-psico-mediatico che ormai controlla tutto. Il potere mediatico-comunicativo, il potere finanziario-bancario, il potere tecnologico-scientifico, hanno sostituito tutto. Il potere tecnocratico-scientifico ha conquistato una piena autonomia. Quando i mezzi come quelli tecnologici e scientifici diventano un fine e camminano da soli. Nel nome di una finta scienza prendono il pieno controllo della società: non hanno più bisogno di legge e democrazia. Il mio amico Angelo Giorgianni è stato sospeso dalla funzione di giudice e dallo stipendio per aver partecipato dalla manifestazione di Roma del 9 ottobre. Il potere giudiziario è pronto ad adeguarsi: è allineato agli altri poteri. Non sperate nella legalità e nella giustizia.
Falcone, che era un uomo libero come noi, diceva che nei Paesi e nei sistemi dove governa la mafia, quella della grande finanza, nei posti di responsabilità vengono messi gli scemi. Basta guardarsi intorno per capire quanto questa frase fosse vera. Questo finirà? Nel lungo periodo, nel grande disegno complessivo, non sappiamo quando. Tra il Satana del controllo e il Dio della libertà, c’è una prima tappa. L’Italia è una colonia e questa setta potrebbe avere una prima battuta di arresto quando ci saranno le elezioni nel maggio del 2022 negli Stati Uniti. Se Trump riuscisse ad esempio a diventare capo del Congresso, qualcosa potrebbe cambiare. Fino a quando questo gruppo comanderà non c’è nessuno speranza. Sono arrivati al punto che non c’è più il Parlamento, non c’è più il Governo, c’è la cabina di regia, non sappiamo regia di cosa. Non credere che il regista sia l’impresario, è un equivoco. I padroni stanno dall’altra parte dell’oceano.
Però di Trilussa "In un paese che non m’aricordo C’era una volta un re ch’era riuscito a mette tutto er popolo d’accordo e a unirlo in un medesimo partito che era quello monarchico per cui era lo stesso che voleva lui. Quando nasceva un suddito er governo je levava una ghiandola speciale per aggiustarje er sentimento interno secondo la coscienza nazionale in modo che crescesse nell’idea come un cocchiere porta la livrea. Se cercavi un anarchico .. Domani! Macchè! non ne trovavi più nessuno nè socialisti nè repubblicani manco a pagarli mile lire l’uno qualunque scampoletto di opinione era venduto a prezzo di occasione. Per questo in quel paese che vi ho detto viveano così ch’era un piacere senza un tirate là, senza un dispetto ammaestrati tutti di un parere chi la pensava differentemente passava pe’ un fenomeno vivente. Er popolo ogni sera se riuniva sotto la reggia pe’ vedè er sovrano che apriva la finestra tra l’evviva e s’affacciava tra lli sbattimano fino a che non pijava la parola come parlasse a ‘na persona sola. – Popolo – je diceva – come stai? – E tutto quanto er popolo de sotto j’arispondeva – Bene! Assai! – – Ce pare d’aver vinto un terno al lotto! – E il re contento, dopo averje detto quarche altra cosa li mannava a letto. Ecchete che una sera er Re je chiese – Siete d’accordo tutti quanti? – E allora da centomila bocche non si intese che un -sì -allungato che durò mezz’ora. Solamente un ometto scantonò e appena detto sì disse però. Vi immaginate quello che successe! – Bisogna bastonarlo – urlò la folla – Le indecisioni non sono più permesse se no ricominciamo il tirammolla. – – Lasciate che mi spieghi e poi vedremo – disse l’ometto che non era scemo. – Defatti appena er Re c’ha domandato se eravamo d’accordo j’ho risposto nel modo che avevamo combinato ma un buon amico che c’avevo accosto per fasse largo, proprio in quel momento m’ha acciaccato li calli a tradimento. Io dunque non ho fatto una protesta quel però che mi è uscito in bona fede più che un pensiero che c’avevo in testa era un dolore che sentivo al piede. Però, dicevo, è inutile se poi ce pestamo li calli tra di noi. Quanno per ambizione o per guadagno uno non guarda più dove cammina e monta sulli calli del compagno va tutto a danno della disciplina.- fu allora che la folla persuasa je disse – vabè, però stattene a casa –