È come se un copione già noto, almeno a quanti non fossero in lockdown cognitivo, si stesse realizzando un poco alla volta, un passo dopo l’altro. Come prevedibile in queste ultime settimana si sta dispiegando il divieto di manifestare pubblicamente il proprio dissenso contro il terrifico leviantano tecno-sanitario.
Siamo nel bel mezzo di una svolta autoritaria o se preferite di una riplasmazione verticistica del modo capitalistico della produzione. Una riplasmazione che impiega l’emergenza pandemica come fondamento di una nuova razionalità politica, sociale ed economica. Sul piano sociale abbiamo una ri-plebizzazione dei ceti medi e delle classi lavoratrici, anche il distanziamento sociale unito alla tecnologia digitale come fondamento di una società di atomi distanziati e senza legami sociali. Il compimento dell’espulsione neoliberale dell’altro.
Sul piano economico abbiamo il trionfo dei colossi tecnologici, big tech e big pharma. Sul piano politico abbiamo infine un regime che si fa ogni giorno più stringente con annesso tramonto dei residui della democrazie parlamentari e con apoteosi di un ordine sempre più autoritario che utilizza il teorema della vita in pericolo per giustificare strette continue limitazioni dei diritti e compressioni della libertà.
Ciò che nella normalità è in accettabile, si presenta come inevitabile nell’emergenza, così se ci tolgono diritti e libertà lo fanno a loro dire sempre perché vogliono tutelare la nostra vita messa in pericolo dall’emergenza epidemica. Non sfugga allora in questa cornice generale la messa in discussione sempre più palese, sempre più evidente e inconfutabile di uno dei capisaldi di ogni moderna democrazia che è la libertà di esprimere pacificamente il proprio dissenso.
In effetti si potrebbe dire che uno, non certo l’unico, dei punti fondamentali che caratterizzano una democrazia in senso pieno distinguendola da un regime autoritario è il fatto che soltanto nella democrazia è possibile manifestare il proprio dissenso laddove i regimi autoritari sono quelli che impediscono la manifestazione del dissenso e lo perseguono in ogni guisa.
Potete giudicare se ci troviamo oggi in una democrazia o in un nuovo regime di tipo tecno-sanitario. Dice di limitare libertà e diritti ma di farlo per il nostro bene, per fini che si dicono protettivi. Sempre più palesemente il diritto di manifestare il dissenso sta evaporando. A Trieste, epicentro delle rivolte eroiche dei portuali, è stato posto in essere il divieto di manifestare contro il leviatano tecno-sanitari fino al 31 dicembre. Qualcosa di analogo sta avvenendo anche in altre città venete e friulane. Insomma una tendenza palese sulla quale riflettere.
Possiamo farlo a partire dalle parole riportate dal “Corriere della Sera” della giornalista, della professionista dell’informazione, Lilli Gruber, uno dei punti saldi del nuovo ordine mentale di completamento della globalizzazione. Queste le parole di Lilli Gruber riportate puntualmente dal Corriere della Sera: “Esprimere il proprio dissenso è un diritto cardine della democrazia, non lo è però professare nei fatti il diritto di contagiare gli altri, men che meno farlo mettendo a ferro e fuoco le nostre città”. Da queste parole emerge nitidamente il messaggio veicolato dal nuovo ordine tecno-sanitario: d’ora in poi le manifestazioni contro l’ordine terapeutico saranno vietate in quanto contagiose.
Si dirà che De iure è un diritto fondamentale della democrazia quello di contestare e protestare, de facto questo diritto deve essere sospeso finché c’è l’emergenza che altrimenti diviene diritto di contagiare. Si recupererà quel diritto quando finirà l’emergenza che tuttavia ha la tendenza a non finire mai. Il diritto De iure di protestare sparisce de facto fin tanto che continua l’emergenza sempre più emergenza infinita o nuova normalità. L’emergenza perpetua è la nuova normalità cosicché le stesse misure si mutano in nuova normalità.
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro