L’attacco del pensiero unico alle culture particolari: perché l’umanità si può amare solo con le identità

Il “discorso del capitalista”, come lo chiamava Lacan, giudica oggi ingiustificata la sopravvivenza di identità e culture particolari. Lo fa dacché ritiene che legittima sia soltanto l’Umanità.
Il mendace teorema global-capitalistico presenta infatti il particolare delle culture e l’universale umano come antitetici: proprio in ciò sta il suo erramento, il pensiero unico politicamente corretto ed eticamente corrotto del globalcapitalismo ignora il fatto che, per dirla con Hegel, l’umanità stessa è per sua natura un “universale concreto“, esiste cioè in quanto universale nelle culture particolari in cui si determina.
Detto altrimenti, l’umanità non esiste come universale astratto, separato dalle culture particolari. Al contrario, l’umanità esiste come universale concreto, cioè nelle culture particolari che animano l’umanità.

Dal punto di vista del discorso unico politicamente corretto, ciascun popolo per essere pienamente umano dovrebbe dunque rinunziare alla sua particolarità, dunque alla propria tradizione, alla propria identità, alla propria cultura. In tal guisa tuttavia non si attua l’umanità, ma la si annichilisce proprio in ragione del fatto che l’umanità esiste come universale concreto cosicché – questo è il punto nodale – annientando le culture particolari non si realizza l’umanità, ma la si annichilisce dato che essa esiste soltanto nelle culture particolari.
La promessa di attuazione piena dell’umanità per il tramite della rinunzia al particolare di ciascun popolo, non attua dunque l’umanità, ma la perverte nel nulla della civiltà tecnomorfa, la muta in semplice appendice dei processi di valorizzazione del valore capitalistico.

Per esprimerci ancora con Hegel, si precipita così nel “pozzo indeterminato dell’universale astratto”. Il logo unico globalisticamente corretto ormai diffuso ubiquitariamente dalle centrali monopolistiche dell’informazione, sofferma l’attenzione sull’Umanità soltanto per giustificare quell’annientamento delle culture e delle identità particolari che come ho provato a chiarire nel mio libro “Difendere chi siamo”, corrisponde a un momento fondamentale di passaggio nel mondo intero sotto il segno del capitale.
Per questo il discorso del globalista tende immancabilmente a soffermare l’attenzione sull’umanità per distoglierla da chi, in concreto, (popolo, civiltà o individuo) soffre accanto a noi.
Il logo cosmopolita esorta ad amare l’umanità sempre identificata con chi è distante e con il solo obiettivo di giustificare il sovrano disinteresse per chi ci sta accanto. L’amore per l’umanità (in astratto) diviene l’alibi per il disinteresse per le determinazioni particolari dell’umanità.

Alla luce di quanto asserito in tema di universale concreto, amare l’umanità vorrebbe dire amare concretamente le persone con cui si è quotidianamente in relazione, invece il logo globalista diviene l’alibi per non curarsi di loro, per trascurarli in nome della causa più alta dell’Umanità, con la ‘U’ maiuscola.
L’amore per il particolare secondo il logo unico politicamente corretto implica l’odio per l’universale, e poiché bisogna amare soltanto l’universale, bisogna allora avversare il particolare. L’universale che il pensiero unico dice di amare resta un puro “universale astratto”, dice Hegel. E’ in sostanza una via immediata per riaffermare, occultandolo, l’amore egoistico soltanto per sé.
Ecco perché se vogliamo amare realmente l’umanità, dobbiamo amare le persone con cui abbiamo quotidianamente a che fare, amare il popolo di cui siamo parte.
L’amore per l’altro genericamente inteso è solo un alibi per disinteressarci di chi ci sta realmente accanto, o come diceva Giangiacomo Rousseau “l’amore per l’umanità diviene soltanto l’alibi per disinteressarsi delle sorti perfino del proprio vicino di casa”.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro