Stella Rossa controcorrente. Il club serbo di Belgrado non lascia a piedi il colosso Gazprom. La decisione è stata apertamente rivendicata dalla dirigenza biancorossa provocando una scia infuocata di opposte polemiche. I soldi non fanno la felicità, ma per tenere in piedi una società di calcio i milioni urgono eccome. Ora ditelo ai vertici dello Schalke 04 e ai piani alti del Manchester United (i secondi autori del ben servito alla compagnia aerea Aeroflot).
E i tifosi? Tutti concordi. Quello per la Crvena zvezda è un amore viscerale che oltrepassa di gran lunga il semplice ambito sportivo, con innumerevoli implicazioni socio-politiche dominanti. “Russi e serbi fratelli per sempre“- il coro intonato a squarciagola, nel corso dell’ultima partita di campionato con il Vozdovac, ha fatto il giro del mondo. Esternazioni di un popolo che l’orrore di una guerra, seppur con peculiarità differenti, lo ha conosciuto sulla propria pelle.
Tra la fine degli anni ottanta e l’alba dei novanta, del secolo scorso, quel raro mix di elementi che costituivano le fondamenta dell’ormai ex Jugoslavia venne spazzato via brutalmente da morti e sangue senza soluzione di continuità. La dipartita del timoniere Tito aveva sostanzialmente sgretolato in breve quella unione solo all’apparenza indivisibile. Croati, bonsiaci e serbi in un tutti contro tutti che, a distanza di molto tempo, desta ancora un profondo sgomento.
Nel pieno dei terribili fatti balcanici proprio la Stella Rossa alzò al cielo del San Nicola di Bari la competizione internazionale più ambita. La creatura dell’architetto Renzo Piano, realizzata per i Mondiali del ’90, fece da cornice nel 1991 della finalissima di Coppa dei Campioni. Ai calci di rigore il Marsiglia di Papin cadde sotto i colpi di talenti dallo spirito libero come Jugovic, Mihajlovic, Prosinecki, Savicevic e la futura meteora dell’Inter Pancev. Giubilo in Puglia mentre il sangue, in quelle terre martoriate, scorreva a fiumi. Oggi la Crvena è allenata da Dejan Stankovic, altra limpida espressione di quella prolifica scuola, transitato in Serie A tra Lazio e Inter.
Tante le vicende ai limiti del paradossale nell’enorme calderone della guerra russo-ucraina. Basti pensare a ciò che sta succedendo ad Anatoliy Tymoshchuk. L’ex bandiera della Nazionale gialloblu, apprezzato mediano di Zenit e Bayern Monaco, è stato messo al bando dall’UAF per non essersi schierato con durezza nei confronti dell’attacco di Mosca al suo paese di origine. Nel San Pietroburgo Anatoliy svolgeva il ruolo di allenatore fino a qualche settimana fa. Gli organi del pallone ucraino, per tutta risposta, hanno privato l’ex calciatore del patentino da tecnico cancellando tutti i titoli onorifici, impedendo anche lo svolgimento di attività calcistiche nel territorio dell’Ucraina. Il ciclone bellico è appena iniziato… salviamo almeno lo sport.
Alessandro Iacobelli