Inquietante vittima collaterale della guerra ucraina: il mirino dei censori puntato su Dostoevskij

Dostoevskij andrebbe letto e studiato, non certo censurato. Come invece ha fatto l’Università Bicocca di Milano. Motivo? Dostoevskij è un autore russo, quindi va censurato dato il contesto di guerra con la Russia in cui ci troviamo. Censurare Dostoevskij in quanto autore russo, diciamolo apertamente, è un gesto volgare, indegno di un tempio del sapere e del dialogo quale idealmente dovrebbe essere un’università. Espressione del nulla della cancel culture, la rimozione degli autori del proprio canone. Un gesto che asseconda l’ospite più inquietante del nostro tempo, come lo chiamava Nietzsche, quel nichilismo che ovunque proietta il suo cono d’ombra.

Dostoevskij è, con tutta evidenza, uno dei fondamenti della nostra civiltà europea: censurarlo significa censurare la nostra civiltà. Significa promuovere quella “cappa”, come recentemente l’ha appellata nel suo libro Marcello Veneziani, che tende a occultare simboli e identità, culture e storie. Si pone come il non plus ultra del tramonto di un Occidente che si vergogna di sé, autofobico, ha paura della propria storia che pure, nell’atto stesso con cui prova a cancellarla con un colpo di spugna, si rivela ogni volta costretto a ripetere.

Dostoevskij – lo sa bene chiunque l’abbia letto – parla dell’uomo in quanto tale: la sua prosa è del tutto avulsa da sentimenti nazionalistici e magari anche apertamente xenofobi. Dostoevskij è un autore russo, certo, ma la sua opera è patrimonio dell’umanità tutta: egli parla all’uomo, a ogni uomo. Cancellare gli autori della letteratura russa e discriminare i cittadini “colpevoli” di avere il passaporto russo, chiedendo loro di prendere posizione sulla guerra, come accaduto al direttore del concerto della Scala di Milano, è un gesto degno della civiltà europea? È davvero questa l’Europa di Kant, Husserl e Spinelli?

Oltretutto mi sia lecito ricordare che Dostoevskij ci trasmette una lezione che non dovremmo sprecare. Il trait d’union dei suoi romanzi è che il nichilismo della morte di Dio, quello che oggi si respira in Occidente a ogni latitudine, non produce liberazione e vita. Al contrario, genera morte e servitù. Non è forse questo il fabula docet di Delitto e castigo o dei Demoni? Ebbene, il nichilismo della morte di Dio sta oggi favorendo le ragioni della guerra e non della pace: e la guerra è, per sua essenza, l’emblema della morte e della potenza nullificatrice.

L’Europa tutta è nella morsa del nichilismo. Ed è forse anche per questo che prova a rimuovere in ogni modo Dostoevskij e la sua lezione.

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro