- Non vo’ che più favelle malvagio traditor; ch’a la tua onta io porterò di te vere novelle -: siamo nel Canto XXXII dell’Inferno, nel lago Cocito, particolarmente vicino a Lucifero, che sbattendo le ali da pipistrello produce la corrente gelida che ne ghiaccia le acque. Dante calcia per sbaglio la testa di un dannato, quindi capisce che si tratta di Bocca degli Abati, nobile del partito guelfo segretamente accordatosi con i ghibellini prima della battaglia di Montaperti (1260). Siamo, in particolare, nella zona Antenora, quella dei traditori della patria.
A Firenze faceva freddino, ma non così freddo; del resto, all’Inferno c’erano meno fischi e meno insulti, rispetto a quelli riservati assieme alle rime a Dusan Vlahovic, trattato dalla Fiesole alla stregua di uno dei dannati più disprezzati in assoluto da Dante.
Con la differenza che Bocca degli Abati decise da solo di vendersi e, soprattutto, non portò alcuna ricchezza nelle casse fiorentine.
Paolo Marcacci