Così rendono le persone deboli, controllabili e non libere: gli basta dare un tozzo di pane a chi non ha lavoro

Già si dimenticano i detti del “lavoreremo tutti un giorno di meno e guadagneremo tutti come se avessimo lavorato un giorno di più”, che accompagnava la retorica dell’ingresso nell’Unione europea da parte di un ex Primo Ministro italiano. Ormai il lavoro per molti è un lontano ricordo. E per altrettanti un sognato, ma ormai rinunciato diritto. Sono ormai in molti, dopo decenni di privazioni, ad accettare il voto di scambio del reddito di cittadinanza riportando indietro la società di oltre 100 anni a quella fine del XIX secolo che abbiamo avuto modo altre volte di novellare.

Le politiche che vi vengono spacciate come politiche moderne in realtà sono politiche imperiali e imperialiste della fine del XIX secolo, quando c’era un Paese che inventava quel modo di fare economia: la Gran Bretagna. A distanza di oltre 100 anni, noi continuiamo a raccontare e a spacciare che quel modo neoclassico di ragionare sia il modo moderno di ragionare. Io questo lo contesto perché c’è un fattore fondamentale, che dimostra la fallimentare scelta di quella strada: il lavoro.

Lo dicevano i dati ancora pochi giorni fa dell’Inps: oggi abbiamo il 70% delle persone che presero per la prima volta il reddito di cittadinanza e continuano a prenderlo a distanza di tre anni; di queste famiglie non sono aumentati né gli Isee, né hanno trovato un lavoro. Quindi io ho sempre criticato quello strumento perché bisogna dire che cosa è: uno strumento di panem et circenses che serve a dare alla gente la possibilità di sopravvivere.

Ma il vero problema è perché le persone non trovano un lavoro. Io credo che quello dovrebbe fare uno Stato, non garantire un reddito di cittadinanza. Garantire, semmai, un lavoro di cittadinanza. Perché le persone che non lavorano diventano deboli, controllabili, soprattutto non più libere nei confronti della classe politica che quotidianamente elargisce a loro da scranni di velluto un tozzo di pane.

Malvezzi​ Quotidiani, pillole di economia umanistica con Valerio Malvezzi