Sapevamo già prima del fischio d’inizio di Kovacs che sarebbe stato non soltanto un quarto di finale d’andata, ma un confronto tra la visione aristotelico – tolemaica del calcio e quella copernicana; il geocentrismo che regge finché si porta a casa il risultato, fattore di sacralità biblica, contro l’eliocentrismo delle convinzioni più evolute, che dopo settanta minuti di immobilismo tattico ha portato al’ “Eppur si muove” di quel Galileo del centrocampo che è sempre stato Kevin De Bruyne. Un ingresso in area chirurgico, un’accelerazione che ha sgretolato steccati di convinzioni utilitaristiche per gli uomini e per i sostenitori partigiani del Cholismo come via più efficace per conseguire l’Utile, anche in senso filosofico, per mezzo degli uomini di cui si dispone. Migliore dei mondi possibili o limite di mentalità?
In realtà il calcio di Simeone è organizzazione preventiva, più che semplicistico catenaccio; così come abbiamo capito che gli uomini di Guardiola all’occorrenza hanno il mandato di picchiare ed essere sparagnini.
Poi, alla fine ha ragione Guardiola perché vince la partita e, per amor di paradosso, è la maniera migliore per avvalorare le convinzioni di Simeone.
Paolo Marcacci