Si sta svolgendo, in questi giorni sulle alpi svizzere, il celeberrimo o forse sarebbe meglio dire famigerato forum di Davos. Noto anche come il World Economic Forum, presieduto dal suo fondatore Klaus Schwab, è un consesso nel quale si ritrovano tutti i principali oligarchi del turbocapitale. Essi si danno convegno per concertare e stabilire insieme le linee guida del loro programma di azione cosmopolitico. Vale a dire i soli interessi di classe su scala planetaria.
Ogni anno si danno ritrovo al World Economic Forum di Davos e dopo due anni di convegno a distanza online, quest’anno si sono ritrovati a parlarsi in presenza. Hanno chiarito senza ambagi che la loro potenza è sovrana, che sono essi e essi soltanto a decidere quali devono essere le sorti del mondo. Ovviamente plasmate secondo il loro interesse di classe. Tra questi interessi vi è imposizione sicuramente non secondaria, che gli Stati Nazionali non debbano più contare nulla come potenze sovrane in grado di governare l’economia e magari di esprimere in qualche misura la volontà democratica nazionale popolare.
I gruppi dominanti del capitale cosmopolita già da tempo cercano di produrre in ogni guisa la sovra nazionalizzazione e quindi la traslazione dei centri del potere, dai Parlamenti nazionali più o meno democratici a enti sovranazionali sicuramente non democratici. Come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Centrale Europea, per menzionarne due fra i tanti.
I padroni di Davos stanno insomma orchestrando e dirigendo la globalizzazione pienamente in coerenza con i loro interessi di classe e tra questi, oltre alla neutralizzazione della potenza sovrana degli Stati come ultimo fortilizio della democrazia e dei diritti sociali, vi è giusto appunto un altro interesse che merita di essere menzionato: i pochi diritti delle classi lavoratrici dei ceti medi vengano spazzati via per sempre, in nome delle superiori ragioni della competitività globale ossia del fondamento precipuo del globalismo neoliberale o, se preferite, per chiamare le cose con il loro nome, del ‘competitivismo no border’ su cui la reason neoliberale intrinsecamente si fonda. Alle classi dominate e ai popoli, i padroni di Davos chiedono una cosa semplice, ribadita poi con le stesse parole da Klaus Schwab: la resilienza. Cioè la supina accettazione di tutto questo in silenzio, le classi dominate non devono far altro che subire silenziosamente i desiderata e le decisioni dei gruppi dominanti.
Insomma, il World Economic Forum, anche quest’anno si conferma per quello che strutturalmente è. Il consesso in cui i plutocrati di Davos e del mondo intero si radunano periodicamente con un solo obiettivo: quello di delineare al meglio il tabloid de board dei loro interessi e dei modi con cui portarli a compimento. Quello che più desta inquietudine è il modo con cui i più accettino tutto questo, cioè questa lotta di classe univocamente gestita che ho da tempo appellato “massacro di classe a senso unico”. I dominati avrebbero le sacrosante ragioni per sollevarsi, insorgere, contestare questo dominio di classe. Invece lo subiscono con resilienza, appunto, come i padroni desiderano. Questo è l’apice di quello che Gramsci chiamava la subalternità, cioè subire il proprio dominio senza ribellandosi ma orientandosi anzi con le mappe padronali che giustificano quel dominio presentandolo come giusto e buono o comunque come non trasformabile. Da accettarsi senza batter ciglio, con resilienza, appunto.
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