Goldman Sachs minacciosa: “Italiani, attenti a non votare Draghi!”, e iniziano a parlare di conseguenze

Il gruppo bancario Goldman Sachs ha fatto pervenire agli italiani un messaggio chiaro e forte. Un messaggio che suona come una vera e propria minaccia, se analizzato da un certo punto di vista: gli italiani – ha suggerito nemmeno obliquamente Goldman Sachs – debbono continuare ad affidarsi senza remore e senza tentennamenti alle premurose e sapienti mani di Mario Draghi, l’euroinomane di Bruxelles che Goldman Sachs conosce bene.
Tutti sanno (o dovrebbero sapere) che Mario Draghi, ai suoi esordi, lavorava giustappunto per la grande banca d’affari transnazionale, quella che ora ne osanna le virtù, a tal punto da indicare quasi minacciosamente agli italiani l’esigenza di continuare ad affidarsi a lui.

Insomma italiani, dovete votare come vi consigliamo!
Ci saranno instabilità e perturbazioni se non lo farete, dacché i mercati vogliono Mario Draghi, sicché occorre che gli italiani si adeguino alla voluntas dei mercati intesi come un’entità superiore, come una potenza suprema che sta al di sopra degli uomini e che ne governa sapientemente le azioni.

Si tratta di una tendenza tipica del levo neoliberale: sono i mercati a dire imperativamente ai popoli come votare, talvolta minacciandoli in forma apertamente ricattatoria.
Molti di voi senz’altro ricordano le inqualificabili parole di un grigio burocrate eurocratico di qualche anno addietro: “I mercati insegneranno agli italiani come votare“.
Ci troviamo dunque nel bel mezzo di un dispotismo bancario, in una vera e propria tirannia finanziaria. In sostanza la democrazia, nobile nome greco che corrisponde oggi alla spietata governance mercatista, tende sempre più a ridursi al gesto con cui i popoli votano “democraticamente” ciò che i mercati hanno già deciso autocraticamente nelle stanze chiuse di banche e gruppi finanziari privati. Questa interferenza costante tra la politica e l’economia è, in effetti, il tratto più tipico, il quid proprio della civiltà neoliberale. Si crea un rapporto incestuoso tra banche e Stato, tra economia finanziaria e politica.

Un rapporto incestuoso, sì, ma a senso unico (va specificato), dacché nell’ordine neoliberale le banche possono continuamente interferire con lo Stato, l’economia finanziaria può ininterrottamente interferire con la politica, senza che mai valga il rapporto in senso inverso.
Detto altrimenti, non può lo Stato interferire con le banche, non può la politica interferire con l’economia finanziaria. Ecco allora che la civiltà neoliberale si caratterizza non tanto, come taluni dicono superficialmente, per la fine dello Stato nazionale; si caratterizza semmai per la riduzione dello Stato nazionale a semplice continuazione dell’economia finanziaria con altri mezzi: non già dunque evaporazione dello Stato nazionale in quanto tale, bensì evaporazione della sovranità dello Stato nazionale.

Privato di sovranità, e dunque desovranizzato, lo Stato nazionale diventa semplicemente comitato d’affari dei ceti dominanti della plutocrazia neoliberale, quella che pretende appunto che lo Stato faccia ciò che la plutocrazia neoliberale vuole, ossia fa sì che i popoli debbano votare ciò che hanno già deciso le élite plutocratiche transnazionali.
Insomma, è bene saperlo, oggi ci troviamo non certo nella democrazia come viene detto ripetutamente con il solo obiettivo di nascondere il reale modus operandi del nostro tempo: viviamo in una plutocrazia che è anche una plutonomia, che dà cioè leggi che giustificano il rapporto di forza dominante.
Bisogna averne contezza, perché comprendere il male è il primo passo obbligato per poterlo poi curare.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro