Dopo una stagione per lui massacrante, quanto a lunghezza e numero di partite, al Dall’Ara abbiamo visto un giocatore tiratissimo, lucido, dalla carica agonistica sovrabbondante, vista anche la foga con la quale si è procurato l’ammonizione. E per nulla appagato dal suo recentissimo trionfo europeo.
Tra i tanti interrogativi che ruotano attorno a questa nazionale che è a metà del guado tra destrutturazione e ristrutturazione, ce n’è uno che non dovrebbe proprio aver luogo, perché gli eventi non avrebbero proprio dovuto generarlo: come fa l’Italia di Mancini a non presentare sempre Lorenzo Pellegrini titolare?
In questa breve analisi della sua prestazione, ci piace prescindere dalla migliore giocata italiana di tutto il primo tempo, ossia il doppio dribbling con l’esterno destro; non per amore del paradosso ma perché, anche al netto di una tale esibizione di mezzi tecnici, il monitoraggio della sua gara contro i tedeschi racconta di una corsa incessante, sempre supportata dal giusto posizionamento e impreziosita da palloni ricamati ad arte, aperture nitide come quella per Scamacca, cambi di gioco pregevoli per la visione e la misura.
Alla fine di questa stagione che lo ha visto alzare la Conference League con la Roma, possiamo dirlo, prendendo in prestito un titolo di Conrad: quest’anno ha superato la linea d’ombra, quella dell’approdo alla definitiva maturità.
Ah, quasi dimenticavamo: fa pure gol a Neuer.
Paolo Marcacci