Il vero motivo delle dimissioni di Draghi: qualcun altro deve terminare il suo compito

La notizia decisiva per le sorti del nostro paese riguarda le dimissioni annunciate da Mario Draghi in Consiglio dei Ministri.

Ebbene si, Mario Draghi ha dichiarato che si sta per rimettere. Si apre la crisi di governo dunque, come viene precisato ad esempio da RaiNews ma da tutti gli altri siti di informazione nazionale e non solo.

Proviamo ad interpretare ciò che sta avvenendo, dacché si tratta di un momento decisivo, con tutta evidenza, che potrebbe dar luogo a due scenari diversi per non dire opposti. Procediamo con ordine. L’uomo che fu di Goldman Sachs e poi governatore della BCE, l’uomo che comparve nel 1992 a bordo del panfilo Britannia – ove si decisero le sorti liberalizzatrici e privatizzatrici nefaste per il nostro paese – ha ora portato a compimento la sua missione: l’Italia è in ginocchio, pronta ad essere consegnata alla troika per la distruzione finale. Distruzione finale che, ça va sans dire, non può essere compiuta dallo stesso Draghi. Mica vorrete che si sporchi le mano egli, banchiere raffinato ed elegante. Anzi, possiamo ben dire che dopo aver messo l’Italia in ginocchio, si accinge a consegnarla alle mani del boia per la parte sporca, per il gesto finale, di modo che alla storia Draghi non passerà come colui che ha giustiziato e annientato l’Italia, questo compito verrà lasciato ad altri.

La gravità della situazione, con tutta evidenza, è inaudita. E lo è, badate, anche in ragione del fatto che i più non se ne accorgono. I più pensano che tutto stia procedendo per il verso giusto, dacché al potere ci sono attualmente quelli affidabili, quelli giusti, quelli che piacciono ai mercati e alle borse. Dopo la Grecia anche l’Italia presto potrà dirsi il più grande successo dell’euro.

Se poi prendiamo in esame le posizioni di coloro i quali in queste ore stanno giubilando perché è finita l’era di Draghi o del Draghistan (come veniva ironicamente appellato) anche in loro assistiamo al trionfo di una posizione irriflessa, quasi puerile. È vero, Mario Draghi se ne va, e questa è una notizia che a tutta prima parrebbe da cogliersi con grande giubilo (nunc est bibendum, per dirla con il poeta). Ma come si può interpretare realmente questo abbandono? Mica come una sconfitta di Draghi, nevvero. Draghi stava vincendo. Draghi è un uomo che è nato per comandare e per vincere. Appartiene alle classi dominanti, alla plutocrazia neo liberale, non è certo uno che scende in campo con la possibilità di perdere. Può ben darsi invece che egli si sia fatto da parte, come dicevamo, per lasciare la parte sporca (quella finale, quella del boia) a qualche altra figura, in modo che non sia associato al suo nome quel gesto finale, che egli tuttavia col suo governo ha preparato lungamente e con metodo.

Sotto questo riguardo, d’accordo, si può giubilare per la fine del Draghistan, ma senza perdere di vista quello che da qui potrà scaturire ora. Potrebbe essere davvero il momento dissolutivo finale per la patria, quello in cui davvero – lungi dall’esser la fine dell’era Draghi – semplicemente l’era Draghi si fa da parte per consegnare lo scenario a una situazione ancor peggiore, quella della troika, del commissariamento diretto dell’Italia da parte di una dittatura finanziaria ed economica voluta da Bruxelles, una dittatura che potrebbe davvero fare strame dell’Italia riducendola in una condizione miserrima, quale quella in cui l’Unione Europea ha ridotto giustappunto la Grecia proprio quando, per altro, Mario draghi era governatore della BCE.

Allora davvero, come disse qualcuno, la Grecia martoriata rappresenta il futuro dei popoli europei. Quello che vedevamo in Grecia anni fa era semplicemente l’immagine del futuro che avremmo presto scontato anche noi sulla nostra carne viva. Perché in effetti la Grecia è il più grande successo dell’euro, parola di Mario Monti. Ma questo grande successo dell’euro potrebbe presto, prestissimo, riversarsi anche su molte altre realtà europee, proprio a partire dall’Italia.

Radio Attività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro