I tassisti stanno protestando vigorosamente in tutta Italia e lo stanno facendo perché sono fondamentalmente insoddisfatti della globalizzazione capitalistica, quella che fa rima non certo con libertà, diritti e democrazia, bensì con privatizzazioni selvagge e liberalizzazione deregolamentante, ciò che ha portato, in ultima istanza, al prevalere di nuove agenzie privatistiche (come Uber) che di fatto, a giudizio dei tassisti, mettono a repentaglio la loro professione. Insomma, siamo nel bel mezzo di una riorganizzazione del capitalismo che, in nome delle deregulation e della liberalizzazione, produce nuovi monopoli. Questo potrebbe essere a tutta prima un paradosso, eppure è il paradosso fondativo del libero mercato, così come già lo aveva vivisezionato a suo tempo Lenin, il quale notava che paradossalmente il libero mercato promette liberazione di pluralità, di visioni del mondo e di capacità imprenditoriali declinate al plurale, e poi puntualmente si capovolge dialetticamente nella negazione di tutto questo, dacché pone in essere dapprima oligopoli e poi veri e propri monopoli.
Ebbene, è esattamente quello che accadendo anche grazie al prevalere di nuove compagnie private come Uber, che vanno di fatto a imporre il loro primato in forme quasi monopolitistiche. I tassisti stanno protestando contro questo, ma poi anche in ragione del fatto che sono uscite nei giorni scorsi delle notizie letteralmente inquietanti, almeno dal punto di vista dei tassisti, diffuse dal Guardian, che ha rivelato come Uber abbia di fatto attuato delle vere e proprie politiche di lobbying: in sostanza, si va verso la situazione monopolistica paventata da Lenin, verrebbe spontaneo commentare. Insomma, siamo nel tempo di un capitalismo assoluto totalitario, che in nome della liberalizzazione produce una competitività estrema, una sorta di ‘bellum omnium contra omnes’, per dirla con Tommaso Hobbes, che costringe gli individui, per sopravvivere, a competere fino all’estremo, in forme esasperate, lavorando sempre di più e, di fatto, pensandosi e concependosi come imprenditori di sé, quando in realtà sono nuove figure dell’estorsione del plus-valore marxianamente inteso. Questo è un altro dei paradossi della civiltà liberale, che ha dissolto nell’immaginario il conflitto di classe e ha indotto gli ultimi a pensarsi imprenditori di sé tanto quanto i primi.
Gli ultimi, in sostanza, hanno abbandonato ogni conflittualità e sono diventati, nel loro immaginario, imprenditori che devono competere e imporsi, e hanno aderito in sostanza all’immaginario capitalistico. E proprio questo è uno dei motivi che caratterizzano il successo del capitalismo dopo il 1989, quello che due grandi interpreti del neoliberismo come Chiapello e Boltanski nel loro capolavoro ‘Le nouvel esprit du capitalisme’ hanno tematizzato come ‘nuovo spirito del capitalismo‘, quello per cui anche coloro i quali avrebbero tutto l’interesse a contestarlo finiscono per aderire al progetto capitalistico, per competere e pensarsi come imprenditori di sé, secondo il ‘modello Uber’. Uber è una piattaforma digitale grazie alla quale ognuno può, teoricamente, diventare tassista, cioè affittare il proprio veicolo per trasportare le persone, in una sorta di trionfo della competitività e della liberalizzazione, che in realtà produce un abbassamento costante delle condizioni lavorative e una sorta di perdita di diritti costante, che poi è la cifra della globalizzazione (che noi non a caso da tempo proponiamo di qualificare come ‘glebalizzazione’). Ecco perché siamo vicini più che mai ai tassisti e ci auguriamo davvero che la loro battaglia sia solo l’incipit di una più grande battaglia contro la globalizzazione capitalistica e in difesa del lavoro, di quell’istanza cioè oggi completamente rimossa dall’immaginario anche della Sinistra, che in ciò è divenuta del tutto sovrascrivile alla Destra e i lavoratori sono del tutto irrappresentati, come appunto sta accadendo ora con i tassisti.
Radio Attività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro