– Perché lei, pur avendo il tesserino da giornalista, aspetta di fare la fila assieme a tutti gli altri? –
Perché i tifosi della Roma non puoi raccontarli a distanza. Non basta. Non rende. Perché la cronaca inizia quando la fila copre come un manto il Viale dei Gladiatori, tutto; prima che si aprano i cancelli. Il settimo giorno di agosto, con la maglia di Dybala che in teoria fa sentire ancora più caldo. In teoria, perché l’ipnosi dell’attesa chiude persino i rubinetti del sudore.
La Roma fa il pieno d’amore prima ancora che il popolo, non la gente, il popolo della Roma guadagni gli spalti.
Ci sono chiamate e chiamate, quando si fa l’appello: chiamate di speranza e orgoglio, per il solo fatto di averli qua, echeggiano per Wijnaldum, con il coro già in canna per la Sud; per Dybala, ovviamente, per Matic. Chiamate di appartenenza, da Pellegrini a Zalewski, via Bove. Chiamate di acquisita cittadinanza Romanista, come quella per Tammy Abraham, quando nel mentre non c’è già più spazio per uno spillo, né in Tribuna Tevere, né in Tribuna Monte Mario. Poi c’è una chiamata diversa dalle altre, che è la chiamata di pronunciamento da parte di una tifoseria intera, alla quale il “suo” giocatore con la stessa intensità risponde: è quella che si materializza, a livello di decibel, quando viene chiamato il numero ventidue, mentre il volto di Nicolò Zaniolo si materializza sullo schermo dell’Olimpico. Come se uno stadio dicesse – Ma ‘ndo vai? – o meglio: – Ma ‘ndo pensi de annà? -.
La partita lascia, al di là del risultato, l’impressione di una Roma che punta alla coralità di un fraseggio tecnicamente eccelso, quando occupa la metà campo avversaria, con un guardiano della linea mediana che con prestanza e carisma copre anche le percussioni già intense di Cristante. Non è, non può permettersi di esserlo, già più calcio d’agosto, perché la Serie A è dietro l’angolo e i prossimi giorni serviranno a rifinire la brillantezza. Detto ciò, il terreno dell’Olimpico è appena al limite della sufficienza: fondo sabbioso e buche che si aprono. Una all’interno della lunetta tra Monte Mario e Distinti Nord fa implodere il primo corner romanista di Dybala. A proposito della Joya: comprensibilmente a intermittenza, ma quando si accende ha in sé sia il lampo che il tuono della giocata decisiva.
E il gol di Zaniolo? Ratifica d’amore da parte della Sud ma, ancora prima, nuova investitura di romanismo da parte dei compagni; riguardatevi i gesti durante l’abbraccio. Chi vivrà vedrà ma le suggestioni della serata sembrano ancorarlo alla maglia giallorossa.
Il momento di Gini Wijnaldum dimostra che, giochi bene o giochi male l’olandese, è già un beniamino. Il coro è già un mantra.
Finisce con una sensazione, la serata: questa squadra vuole vincere divertendosi: nella cornice, che solo cornice non è, di un Olimpico che dà la sensazione di partire da uno a zero.
Paolo Marcacci