Si chiamano sliding doors, come quelle del celebre film del 1998, anche se dubitiamo circa la possibilità che Gwyneth Paltrow sia interessata ai destini dell’Inter.
È una porta non scorrevole, quella dei nerazzurri nel secondo tempo, ma sovraesposta agli attacchi di un Barcellona come al solito manovriero e ovviamente pericoloso a ridosso dei venti metri, ma sorpreso dal vantaggio firmato da Calhanoglu alla fine del primo tempo e un poco innervosito dal pressing interista, tanto che i catalani non arrivano ai picchi di fluidità nel fraseggio che ultimamente hanno sempre esibito. Forse è stata questa una delle principali note di merito da girare a Simone Inzaghi, convinto del potenziale del suo gruppo anche al culmine di giornate sismiche per la stabilità della sua panchina.
Più ancora del gol annullato giustamente al Barça dall’ineffabile Vincic, che a un certo punto è sembrato prossimo a farsi sfuggire di mano l’intero match, per poi riprendersi con un sussulto di personalità, è l’episodio del palo di Dembélé che ha inviato un segnale a livello di “fluidi”: al giro di boa dell’ora di gioco, sotto un inevitabile forcing azulgrana, il fortino non è capitolato e anzi, da quel momento in poi, sempre cercando di limitare la ricerca della porta che la qualità avversaria perseguiva a colpi di cambi di gioco, l’Inter ha avuto modo di recuperare un poco di lucidità per l’ultimo terzo di gara votato a un contenimento non del tutto rinunciatario.
Quanto pesa questo successo inatteso, per molti addirittura improbabile? Stasera moltissimo, ma per una squadra – e una dirigenza – ultimamente così vittima della fragilità degli umori, la sensazione è che possa essere ancora più importante in prospettiva.
Paolo Marcacci