Gli argentini sapevano che sarebbe stata una partita da gestire con attenzione e umiltà; le loro dichiarazioni improntate alla prudenza non erano soltanto rituali.
Gli australiani, quasi tutta gente che gioca in giro per l’Europa, tra Scozia, Inghilterra, Danimarca e via emigrando, hanno messo in mostra un agonismo dalla soglia piuttosto alta, un’organizzazione improntata da Graham Arnold all’essenzialità, però anche un’approssimazione tecnica nella gestione del pallone che ha consentito all’Albiceleste la pazienza dell’attesa.
In una fase del primo tempo in cui la partita sembrava particolarmente bloccata, a dieci minuti dall’intervallo, Leo Messi ha visto un sentiero dove tutti gli altri avrebbero trovato soltanto calzettoni e parastinchi: il colpo da biliardo, di portata storica perche la Pulce non aveva ancora mai segnato nella fase a eliminazione diretta, è ancora più bello di quello contro il Messico.
Il raddoppio è soltanto all’inizio un errore del portiere Ryan, perché Julian Alvarez prima sgancia le mandibole da rettile per il morso del pressing, poi trova l’istante per instillare il veleno di una girata mortifera.
Da quel momento in poi, l’Argentina comincia anche a divertirsi, con una trazione offensiva più fluida dopo l’innesco dei due Martinez, Lautaro e Lisandro.
Quando l’andamento della gara sembra lasciare solo il dubbio circa l’autore della terza rete o l’ingresso di Dybala (tuttora invisibile per Scaloni), l’Australia rocambolescamente la riapre. Stillicidio di rischi e salvataggi argentini in un finale tutto cuore per Irvine e compagni: vibrazioni agonistiche, errori di Lautaro nei ribaltamenti di fronte, un super De Paul a tutto campo. Al fischio finale, il sospiro di sollievo dei sudamericani sovrasta i loro applausi.
L’Argentina ha i piedi per fare tutto, ma nel quarto di finale Van Gaal gliela potrebbe ingarbugliare di brutto.