Gianni Minà, testimone del tempo

Gli avvenimenti più importanti e più memorabili del Ventesimo Secolo non sono soltanto capitoli che si susseguono nei libri di storia. Sono anche sistemati in un’agenda, scritti a penna con una grafia sottile, sotto forma di numeri di telefono, con prefissi più numerosi dei meridiani e dei paralleli che incidono quel mondo che è stato raccontato. C’erano il Muro di Berlino, la questione razziale che striava di conflitti il pianeta; c’era Ali che affrontava Frazier prima e dopo essersela vista con Foreman in Africa; c’era De Niro invecchiato ad arte nei panni di Noodles, mentre Maradona arrivava in Italia senza sapere ancora che un giorno avrebbe stretto la mano a Fidel Castro.

Quell’agenda dentro la quale era tessuta una ragnatela di numeri telefonici che non conoscevano confini, né fusi orari, l’aveva citata una volta Massimo Troisi. E tutti pensammo che fosse soltanto uno sketch.

C’era il mondo così com’era, incredibilmente diverso da quello che sarebbe diventato: nella politica, nello sport, nel cinema e in ogni ambito che potesse contribuire a farci riflettere, o che tentasse di ingannarci, con un confine a volte così labile tra il nostro sforzo di comprendere e il rischio di non capire nulla.

Se qualcosa abbiamo poi compreso, se in qualche modo ci siamo orientati e ci sentiamo oggi testimoni indiretti di quello che è stato, è perché tutti quei nomi e quegli eventi erano legati da un filo rosso che li cuciva assieme.
Si chiamava Gianni Minà.

Paolo Marcacci