La storia insegna ma non ha scolari. E così, anche dopo un periodo come quello del Covid, ci troviamo a parlare ancora di infezioni nosocomiali. Si tratta di quei sintomi che non erano presenti nel paziente al momento dell’ingresso in ospedale, e che dunque sono sopraggiunti in seguito (non erano quindi neanche in incubazione). In alcuni casi si manifestano anche in seguito alle dimissioni del paziente dalla struttura, dunque c’è confusione su quando si tratti di responsabilità dei sanitari.
A fare chiarezza l’avvocato Francesco Angelini, dello Sportello Legale Sanità.
“Un’infezione è considerata nosocomiale quando i sintomi insorgono dopo le 48 ore dell’ingresso del paziente in struttura. Si ha così la certezza che l’infezione sia stata contratta all’interno dell’ospedale“.
Ci sono però infezioni che si protendono oltre diverse settimane, “anche fino a 6 mesi dall’uscita dall’ospedale“. Un cavallo di battaglia vero e proprio per chi se ne occupa per capire quando i danni (che portano anche a decessi) sono da additarsi alla malasanità: “L’ospedale è tenuto a comunicare se qualcuno ha contratto un’infezione. L’infezione ha dei sintomi, questi vengono indagati dai sanitari e tutto viene riportato in cartella. Altro discorso è se non se ne accorgono, ma normalmente viene comunicato quello che c’è da comunicare“.