Vi ricordate quando si impartivano lezioni sulla zoonosi? Quando non v’era dubbio che il virus l’avesse trasmesso un pipistrello? Quando chiunque parlasse di fuga dal laboratorio veniva deriso, quando non censurato?
Ecco, sono tempi più che lontani, nonostante sia passato poco più di un anno. Nel 2023 quello che si sa della pandemia è molto diverso da quanto veniva fatto sapere nel biennio virale. Adesso volano le accuse tra Cina e America, rimbombano voci nel silenzio di chi questa ipotesi l’aveva “debunkata” col sorriso ammiccante sulle labbra.
E l’ipotesi è quella che suscitò tanto scalpore quando uscì dalla bocca del premio Nobel Luc Montagnier.
“L’interesse, se lo volete sapere, sta all’origine di questo virus; si tratta di capire con cosa abbiamo a che fare ed è ancora difficile dirlo attualmente, non abbiamo conoscenze precise se sia arrivato dal laboratorio di Wuhan o da alcuni laboratori americani nei mesi che hanno preceduto l’epidemia attuale“.
E giù con la gogna mainstream appena il professore pronunciò queste parole alla fine del 2020.
“Lessi già nei primi giorni della pandemia un articolo di un ex colonnello del KGB su Russia Today in cui affermava che si sapesse che si trattava di un virus ricombinato in un laboratorio cinese, ma con operatori americani e francesi“.
“Scriveva anche di stare tranquilli“, dice il Prof. Alessandro Meluzzi, “perché i virus ricombinati hanno un’efficacia che tende a scendere dal terzo mese in avanti“.
Poi, aggiunge, “staremo a vedere che cosa hanno fatto sulla popolazione umana“. Il riferimento è agli effetti a lungo termine della vaccinazione di massa, i cui benefici sul contagio e i cui rischi collaterali sono ancora un dibattito aperto. Ma meno virulento, visto che il tempo degli obblighi pare lontano.
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