Idrossiclorochina: prima approvata, poi ritirata. Eparina: prima demonizzata, poi autorizzata. Monoclonali: prima ignorati, poi spuntati fuori solo da un preciso momento. Cure domiciliari: non pervenute.
E se in molti sposano il lodo del “non si sapeva nulla di questo virus”, qualcuno ha raccontato ampiamente di aver violato i protocolli del ministero e poi aver curato migliaia di persone.
Se ne riparla in questi giorni in concomitanza dell’inchiesta della Procura di Bergamo ora al vaglio dei pm romani. Indagati, tra gli altri gli ex ministri della sanità Roberto Speranza, Beatrice Lorenzin, Giulia Grillo e una serie di tecnici del Ministero. La curiosità dei giudici non va sui farmaci sopra elencati, né sulle cure domiciliari, ma sul mancato aggiornamento del piano pandemico di cui c’era un blando copia-incolla. “E’ semplice logica”, dice l’endocrinologo Giovanni Frajese, “è vero che bisognava chiudere prima, non c’è niente di strano in questo.
E’ ovvio che se riesco a limitare i primi casi contengo il tutto, se invece circola da un sacco di tempo, chiaramente è inutile chiudere”.
“Ciò che ci mancava era il manuale di istruzione su come fronteggiare un virus sconosciuto” ha detto più volte l’ex ministro Speranza: “Non si tratta di un virus che viene da un asteroide”, ribatte Frajese, “è un coronavirus fatto in laboratorio, quindi con criticità diverse dal solito. Non significa però che non possiamo fare nulla: vi ricordo che l’UE aveva finanziato e trovato due molecole per il Sars-Cov1. Due terapie quindi erano l’ebselen e la cinanserina. Anche di questo, viste le analogie tra Sars-Cov1 e Sars-Cov2, nessuno ha pensato di dire mai nulla“.
“Se ci fosse stata una terapia, e penso al povero Dottor De Donno, che aveva tirato fuori una terapia funzionale per qualunque virus (perché una volta che si formano gli anticorpi, quelli sono funzionanti); non si sarebbe potuta fare l’autorizzazione condizionata per i vaccini – che vaccini non sono – ma tutto era focalizzato sulla paura e sull’unica soluzione“.
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