Malanni? Basta prendere una pillola e tutto va bene!
Voce un po’ giù? Prendi un po’ di oxolamina! Certo, dopo ci può essere un po’ di infezione ai bronchi.
Infezione ai bronchi? Prendi un po’ d’antibiotico! Certo, può distruggere la vitamina D nel sangue e la vitamina C.
Poi potresti sentire un po’ di prurito. E che problema c’è? Prendi un po’ d’antistaminico! Ma non far caso alla successiva sonnolenza.
Il corpo e come lo concepiamo nella sua accezione moderna era stato “profetizzato” in uno sketch illuminante di un immenso Walter Chiari.
La medicalizzazione della società, la concezione del corpo come una macchina (che quindi deve essere sempre perfettamente funzionante), l’avanzata di un farmaco per qualsiasi problema – anche lieve – sono stili di vita che hanno subito un’impennata dopo i due anni della pandemia.
Una direzione nella quale si stava andando da tempo, come testimonia l’inchiesta Rai del 2005 “Inventori di malattie“, legata molto più a una certa visione di come deve essere la società, che a reali motivi biologici: “E’ la trasformazione della vita in qualcosa che deve essere consumato il più possibile. Che poi porta a cose come l’uso di droghe per avere una performance cognitiva migliore“.
Il punto però ancora più complesso secondo l’endocrinologo Giovanni Frajese, “noi siamo purtroppo sulla scia degli americani, che già 10 anni fa avevano il 60% della popolazione facente uso abituale di psicofarmaci. Viviamo una vita portata al massimo da un lato e placata da farmaci dall’altro, perché il sistema nervoso deve essere calmato a causa del totale squilibrio“.
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