E vissero green e contenti. Anche Banca d’italia, a proposito del green, solleva qualche dubbio sulla transizione forzata al green nel settore automobilistico. E se l’Italia è avanti sui brevetti relativi a tecnologie a basso impatto ambientale, dall’altro è in ritardo nella industrializzazione del green. Secondo gli esperti, il comparto italiano dell’auto rischia di restare clamorosamente indietro nella transizione verso il motore elettrico. Il motivo? Il minore numero di fusioni e acquisizioni realizzati non compensato dalla crescita interna in termini di ricerca e sviluppo. Per questo motivo le misure pubbliche dovrebbero essere mirate alle attività di fusione e acquisizione e non all’acquisto di auto a bassa emissione da parte dei consumatori. Secondo i ricercatori della Banca d’Italia, le aziende europee, invece, stanno consolidando un processo già intrapreso in precedenza, intensificando appunto le operazioni di acquisizioni e fusioni. Queste diverse strategie potrebbero determinare un ritardo del settore dell’auto italiano rispetto a quello europeo e avere delle ripercussioni sulle quote di mercato delle imprese nazionali. Tutto quello che vi sto dicendo è l’opinione della Banca d’Italia ed è un avviso piuttosto importante perché in strategia la fusione o l’acquisizione è una delle tecniche per fare sviluppare le imprese.
Può non piacerci, possiamo essere contrari, possiamo salire sulle barricate, ma se nel mondo tutti lo fanno e noi non lo facciamo rischiamo di restare indietro. Insomma la Fiat per esempio, è passata senza colpo ferire nelle mani francesi e non da ieri, è ormai qualche anno. E da Banca d’Italia si accorgono che gli incentivi per l’acquisto di auto per la quasi totalità finisce pertanto nelle tasche dei produttori stranieri. Ecco, magari la Banca d’Italia avrebbe dovuto un po’ di anni fa fare queste obiezioni. Ora forse è un po’ tardi, non vi pare? Comunque meglio tardi che mai. Quindi attenzione, perché dietro alle politiche green si nascondono dei pericoli di natura strategica per la competitività delle imprese italiane.