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“Working Poor”: il prossimo passo verso lo sfruttamento esiste già e si vede in America

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Il primo maggio dovrebbe tornare ad essere, oggi più che mai, non solo un giorno di festa, come è giusto che sia per tutti coloro che lavorano e vivono del proprio lavoro. Dovrebbe tornare a essere anche e soprattutto un giorno di lotta e pensiero critico attorno alle reali condizioni del lavoro, nel tempo della globalizzazione neoliberale. Il modo più giusto e sensato per festeggiare il lavoro consiste nel tornare a battersi in sua difesa, anche in ragione del fatto che, mai come oggi, dall’89 in avanti, il lavoro è stato mortificato e offeso, umiliato e sfruttato.

Possiamo dire senza tema di smentite che l’annus horribilis del 1989 ha segnato, in antitesi con le retoriche edulcoranti che salutano l’89 come l’anno della liberazione e del trionfo, una controffensiva spaventosa da parte del capitale vincente contro il lavoro e i lavoratori. Di più, il capitale ha preso in quel momento ad aggredire sempre più platealmente anche i ceti medi e ha creato una contrapposizione nettissima tra coloro che vivono del proprio lavoro (ceti medi, precari, lavoratori, vecchia classe salariata) da una parte e coloro i quali invece ai piani alti vivono in maniera parassitaria sfruttando il lavoro altrui grazie a sofisticati stratagemmi bancocratici e usurocratici.

Il fenomeno “Working Poor”

Insomma, la società si sta configurando come un vero e proprio ‘Sacro Romano Impero della Finanza’ in cui vi è chi campa sfruttando il lavoro altrui e chi fatica a sopravvivere con il proprio lavoro, non dimentichiamo la figura sempre più diffusa negli Stati Uniti d’America: The working poor, cioè quelli che pur lavorando restano poveri perché il loro salario non permette una vita dignitosa al di sopra della soglia di povertà. Ecco perché il lavoro è sempre più mortificato e umiliato ai tempi della globalizzazione neoliberale, dacché dall’89 ad oggi, a colpi di riforme che andrebbero meglio definite “controriforme del lavoro”, il capitale si sta riprendendo tutto, un diritto dopo l’altro, riportando il lavoro a condizioni simili a quelle della servitù.

Sono scene quotidiane quelle che apprendiamo da giornali e informazioni di varia natura secondo cui i lavoratori sono costretti a condizioni miserrime ed è accaduto qualche mese fa di un lavoratore morto in un noto magazzino di una multinazionale: i lavoratori accanto hanno continuato a lavorare, coprendolo dopo essere stato scoperto sotto un cartone per non interrompere il ciclo della produzione. Possiamo dire che capitalismo dopo il 1989 non fa rima con democrazia e con tutela del lavoro. Nulla di nuovo, e tuttavia bisogna a maggior ragione lavorare criticamente per demistificare la narrazione egemonica, quella che celebra il nostro come migliore dei mondi possibili o comunque il solo possibile. Dobbiamo tornare a batterci per l’emancipazione del lavoro perché è questa la sola, fondamentale e totalmente obliata non solo in ragione del fatto che il Capitale sta vincendo, ma in ragione del fatto che le sinistre fanno concorrenza alle destre non nel tutelare le ragioni e i diritti dei lavoratori, ma nel tutelare sempre e solo le ragioni del patriziato cosmopolitico.

Che sia dunque una festa di lotta e liberazione contro le condizioni sempre più misere in cui versa oggi il lavoro nell’Occidente capitalistico.

RadioAttività – Lampi del pensiero quotidiano; con Diego Fusaro

Diego Fusaro

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