L’utilizzo dell”intelligenza artificiale, che entra sempre di più nella nostra vita e nelle riflessioni degli esperti, non è ancora controllata e controllabile. Non vi sono norme a livello internazionale e tantomeno europeo capaci di limitare efficacemente la libertà dei programmatori che di fatto creano quella che oggi definiamo impropriamente intelligenza. Preoccupa soprattutto l’utilizzo che faranno di questa nuova tecnologia coloro i quali oggi già si trovano in una posizione predominante, avvisa Duranti: “Gli hacker si stanno dotando di uno strumento per peggiorare ancora di più la situazione, non solo del lavoro e del diritto al lavoro, ma anche delle persone stesse, perché con la cosiddetta intelligenza artificiale vorranno delegare alle macchine, ben programmate da loro e dai loro programmatori ben pagati. Sono pronti 4000 hacker per programmare le macchine addirittura a curarci, secondo come dicono le macchine, perché ritengono che le macchine siano migliori. Questa cosa non è e né mai potrà essere, è proprio la natura che lo vieta” .
L’evoluzione tecnologica secondo alcuni potrebbe quindi addirittura far arrivare le macchine ad avere un loro pensiero proprio, secondo Diego Fusaro invece: “Bisognerebbe distinguere il pensare dal calcolare. Io mi domando se l’intelligenza artificiale in realtà non calcoli e basta. La riflessione e il pensiero sono prerogative prettamente umane. Per la filosofia e la teologia sono le prerogative somme di Dio che è ‘pensiero in atto’. Già diceva Aristotele che la tecnica calcola tutt’al più. Questa cosiddetta intelligenza artificiale non possiamo dire che pensi perché risponde a degli input, ma pensare significa porre la domanda sull’essere, porre la domanda su Dio, porre la domanda sull’anima, porre domande di senso, non solo rispondere a funzioni sistemiche preordinate“.