Sta facendo assai discutere, e non potrebbe essere altrimenti, invero, il caso della docente che nei suoi 24 anni di servizio ha totalizzato ben 20 anni di assenza sul posto di lavoro. Adesso dice di essere nelle condizioni di poter spiegare tutto, ma nel mentre è al mare e dunque risolverà al suo rientro. Chissà, forse anche negli altri vent’anni precedenti è stata al mare, verrebbe spontaneo commentare.
In sostanza ella ha lavorato, così risulta, appena 4 anni su 24 di servizio e alla fine è stata licenziata non tanto per le assenze, quanto perché, così leggiamo su Open, nei quattro anni di lavoro svolti è risultato che il suo modo di fare lezione e di gestire la classe era “leggermente inadeguato”. Così almeno leggiamo, ripeto, nei motivi ufficiali del licenziamento.
Ovviamente l’indignazione popolare regna sovrana, peraltro in modo anche pienamente comprensibile e giustificato.
L’indignazione si indirizza più che sulla docente in quanto tale, e i sui suoi appena 4 anni su 24 di attività svolta, su uno Stato che tutto questo permette licenziandola dopo che questa vicenda si è protratta, ripeto, per ben 24 anni.
“Anni di stipendio pagati in questo modo?”, viene spontaneo domandare. 24 anni per capire che forse non era la persona adeguata per svolgere quel ruolo?
Personalmente la cosa che trovo più sgradevole e imbarazzante è francamente un’altra ancora: è lo scarso rispetto che la docente ha rivelato con il suo contegno per i suoi discenti e per la di per sé nobilissima professione del docente in quanto tale.
Perché la verità è che chi decide di fare l’insegnante lo fa non solo perché si tratta di un lavoro come un altro, ma precisamente per via di una passione particolare, giacché ama l’insegnamento e la possibilità di trasmettere qualcosa ai più giovani, ben sapendo di avere per le mani la cosa più preziosa, vale a dire la testa delle nuove generazioni.
Vi sono docenti, e fortunatamente sono i più, che svolgono egregiamente il loro mestiere con dedizione e passione, accendendo nei giovani l’erotica del sapere e il desiderio di conoscere. Ho personalmente avuto al liceo la fortuna di avere un docente di filosofia di questo tipo.
Il caso della docente che ha lavorato appena 4 anni su 24, credo che sia offensivo anzitutto per il corpo docenti, soprattutto per quelli, i più, di cui si diceva poc’anzi. E’ naturalmente anche offensivo per gli studenti, che si sono visti privati in questi anni della possibilità fondamentale di vedersi trasmettere le erotica del sapere da chi evidentemente non era animato da alcuna passione per l’insegnamento.
Diciamolo pure apertamente: la fortuna, quando si è studenti, è di incrociare sulla propria strada un vero docente, un maestro che sappia accendere la passione per il sapere, che sappia dare un senso alla nostra formazione indicandoci la via.
Perché il vero insegnamento non è riempire teste, quasi fossero basi con contenuti preordinati, ma è semmai indicare la via, accendere il desiderio del sapere. Per dirla con l’immagine cara a Platone in relazione all’allegoria della caverna, il vero docente è quello che non ti trascina fuori dalla caverna tirandosi per la collottola, essendo invece quello che accende in te il desiderio di compiere la difficile via che ti porta verso la luce, fuori dalla caverna.
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro