Una tragica successione di eventi ha designato Marco Sorbara ad essere inevitabilmente testimone di un errore giudiziario non di poco conto. L’incubo inizia il 23 gennaio 2019 per l’ex assessore comunale di Aosta ed ex consigliere regionale.
È alle 3 di mattina che i carabinieri bussano alla porta di Sorbara, che subito pensa ad un incidente grave di suo fratello.
Invece no, erano lì per lui. “Entrano e perquisiscono tutto, entrano nella tua intimità“.
Fu solo l’inizio di un percorso durato più di mille giorni.
L’accusa? Concorso esterno in associazione mafiosa, con la ‘Ndragheta.
“Ti prendono, ti portano in caserma e poi ti danno un malloppo di 920 pagine, senza spiegarti il perché“.
Ma il “motivo” poi risulta più chiaro: “Mio padre veniva dalla Calabria“.
Pare dunque che fossero le origini calabresi e il fatto che conoscesse un presunto ndranghetista che è calabrese come lui a condannare Sorbara a un inferno giudiziario che ha rischiato di rovinargli la vita.
“In 45 giorni di isolamento in cella sei annientato“.
Ma non è neanche dopo quei 45 giorni che Marco Sorbara viene quantomeno messo a conoscenza delle sue precise e presunte colpe: per lui saranno otto i mesi di carcere. Poi la condanna: 10 anni di reclusione. L’accusa era passata in primo grado.
Colpevole di un reato non commesso, Sorbara cade inevitabilmente in un processo che durerà 4 lunghi anni, tempo in cui mediterà anche il suicidio: “Non riuscivo più ad accettare gli occhi di mia madre che aveva visto il proprio figlio, che aveva fatto sempre grandi sacrifici nella vita, condannato a 10 anni di galera“.
In appello, però, il verdetto viene totalmente capovolto. Si arriverà in Cassazione: il fatto non sussiste.
Fa riflettere come il tutto viene impugnato il secondo grado: “Un accanimento giudiziario“, commenta Fabio Duranti.
“Il Gip mi ha negato per cinque volte la libertà – precisa Sorbara – ma non mi ha mai visto né interrogato.
Credo non abbia nemmeno letto le carte“. L’incubo finisce quando il secondo grado viene dichiarato inammissibile: “Non esistevano prove reali – spiega l’avvocato Giorgia Venerandi – basti pensare che la Corte di appello lo assolve sulla base dello stesso fascicolo delle stesse prove del primo grado. Non si sono introdotte nuove prove in secondo grado. Giudici molto terzi lo hanno assolto“.
Finisce, fortunatamente bene per l’ex consigliere, una vicenda tragica che ha condannato un uomo, un politico, ad una durissima reclusione, ma accordata senza prove. Un accanimento che, per come è maturato, “In pratica può succedere a tutti“.