2023, ancora col “delitto di periferia”?

Nel 2023, ancora l’insopportabile retorica della periferia, dei “Bronx” cittadini, dei fatti di cronaca nera giustificati, nella titolistica, dai quartieri “difficili” dove accadono. Quando poi accadono in centro o in aree cittadine definite “agiate”, allora i delitti vengono presentati con una sfumatura di sorpresa, come se fosse un’incongruenza che un evento di cronaca nera sia capitato nella “Roma bene” o nella “Milano bene”, con un’identificazione tra l’altro tipicamente borghese – nell’accezione peggiore del termine – tra il livello di benessere e i valori sociali positivi. Come se in quartieri dove i ragazzi possono praticare equitazione e golf e i genitori frequentare circoli esclusivi sia automatico trovare famiglie più attente al l’educazione dei figli o un maggiore senso civico diffuso. Ah! Mettete voi qua tutte le faccine ridenti che vi vengono in mente. 

Dopo il terrificante delitto di Michelle Maria Causo – non “delitto di Primavalle” – vale la pena ricordare un dato che ha sfumature numeriche e sociali, per così dire: le donne assassinate nel 2023, e siamo a metà anno, sono più di quaranta, che vanno ad aggiungersi alle centinaia degli anni scorsi e, a smentire tutta una sociologia da quattro soldi, sono state uccise nei centri cittadini come in periferia, nei quartieri cosiddetti residenziali delle metropoli e nei piccoli comuni o nelle frazioncine, in collina o in alta montagna come nelle zone di mare. E la politica di destra e di sinistra, a cominciare dalle donne che sono in politica, ha poco tempo di evidenziare il fenomeno. 

Dopo aver riflettuto su questo, quantomeno per evitare di leggere titoli che erano già sbagliati tre o quattro decenni fa, varrebbe la pena soprattutto riflettere su quanto chi è genitore di figli adolescenti oggi, dunque appartenente a una fascia d’età statisticamente collocabile fra i trentacinque e i cinquant’anni più o meno, in parecchi casi sappia molto poco di chi sono realmente i figli; di quali sono i loro comportamenti, di cosa pensano, a quali rischi di devianze sono esposti, che cosa riconoscono come “valore” oltre alle Air Jordan nelle quali infilano i piedi (concedete un po’ di luoghi comuni anche a chi scrive, tanto le portano tutti, nei quartieri “bene”, “benissimo” o “malissimo” delle città). E i maschietti di casa, stanno venendo preparati come futuri uomini a tutto tondo o come maschioni 2.0?
Stanno apprendendo in casa il rispetto reciproco, l’unico realmente paritario, tra mamma e papà o semplicemente si pensa che in casa ci sia parità perché ognuno dei due genitori fa quel cavolo che vuole, nessuno dei due riservando il giusto tempo ai figli?
Nel caso in cui prevalga la seconda ipotesi, cambierà davvero poco a livello di retaggio maschilista silente e calcificato nei modi di rapportarsi all’universo femminile: tanti ragazzini di oggi continueranno a pensare che se la compagna di classe indossa i fuseaux o la minigonna non è per una libera scelta o per un modo di essere da esprimere anche attraverso l’abbigliamento, ma per far capire ai “maschi” che possono permettersi di considerarla in quel modo. E allora, cosa e quanto sarebbe poi cambiato rispetto ai tempi in cui si diceva (si dice?) che “quella se l’è cercata”?

In attesa di fare piena luce sui perché della fine orrenda di Michelle, che sarebbe stata la stessa, figlia della stessa “logica” perversa, da Corso Umberto fino a San Basilio, cominciamo a sgombrare il campo dai luoghi comuni e dai ragionamenti impostati in base ai quartieri dove avvengono i fatti.
Chi scrive è nato e vissuto a due passi due da San Pietro; da tanti anni risiedo molto vicino alle strade dove sono avvenuti il delitto e il macabro ritrovamento; oggi come ieri, ma soprattutto oggi, non riscontro differenze sostanziali di comportamenti, educati o maleducati che siano, quando devo attraversare la strada in Via Pietro Maffi dove i ragazzi con gli scooter frenano all’ultimo istante davanti alle strisce pedonali, o quando in auto a Piazza Euclide mi trovo davanti le cosiddette macchinette dei “pischelli” dell’alta società, che sa essere più maleducata della bassa a causa della spocchia, che si piantano in mezzo alla strada per mettersi a chiacchierare. 

Se nel raccontare i fatti ricorriamo ancora ai cliché degli anni Settanta, come possiamo poi denunciare i fatti stessi, nella loro reale essenza?

Paolo Marcacci