“Tra spie e traditori il Cremlino vacilla“, si legge su La Stampa a cappello di un articolo di Domenico Quirico. Una firma che non può essere certo tacciata di putinismo, e che tuttavia nel pezzo non parla proprio di crepe del Cremlino.
Dopo l’evaporazione del golpe di Prighozin, capo della Wagner che secondo diverse letture avrebbe in realtà fatto da comprimario di Putin nel ripulire l’élite russa avversa e far venire a galla i nemici del governo, quello che resta non sembra esattamente un indebolimento.
“In effetti il Cremlino ne esce rafforzato”, commenta Francesco Borgonovo: la stessa opinione l’ha condivisa Toni Capuozzo davanti a uno sbigottito Nicola Porro.
Ma perché Putin ne uscirebbe rafforzato agli occhi dell’opinione pubblica russa ed europea?
“Se ci si pensa bene Putin esce dalla vicenda innanzitutto come il male minore. Se immaginassimo uno come Prigozhin a capo dello Stato, non è che le cose sarebbero molto più semplici.
Ne esce poi come quello che incarna l’unità nazionale in qualche modo. Infine ha l’occasione di fare un po’ di ordine tra le forze armate“.
“Purtroppo vedo alcuni fenomeni italiani che devono sempre tirare la volata alla propaganda“, continua Borgonovo, “sono giorni che dicono ‘ecco, Putin è alla fine’, io starei più attento a dire certe cose, perché poi come al solito i nostri simpatici analisti non ci hanno capito niente. Ci dicevano che la guerra sarebbe finita in breve tempo mandando le armi, e invece eccoci qua ancora all’inizio“.
Un baccano mediatico cui invece gli USA non hanno dato seguito, seppur sapessero del cosiddetto “falso golpe” 24 ore prima, così come Putin.