LA SITUAZIONE
Ha fatto molto discutere in questi giorni la ribellione di Evgenij Viktorovič Prigožin, oligarca russo, capo e fondatore del Gruppo Wagner. Dopo aver dichiarato guerra all’esercito Russo e a Putin, si è diretto con i suoi uomini all’interno della Federazione Russa fino a quando attraverso una lunga trattativa mediata dal Presidente della Bielorussia Lukashenko, si è fermato a 200 km da Mosca. La situazione al momento sembra rientrata, ma per quanto riguarda il futuro della Wagner e del suo capo c’è da chiedersi se Putin perdonerà questo tradimento. Le ipotesi del perché si sia verificato questo evento sono molteplici e la situazione sembra meno chiara del previsto.
LE IPOTESI IN CAMPO
Il gruppo Wagner è stato impiegato in Ucraina fin dal 2014, quando le auto proclamate repubbliche del Donbass dichiararono la propria indipendenza dalla sovranità ucraina, ma è solo con l’invasione Russa, che i suoi capi hanno iniziato a manifestare il proprio malumore a più riprese.
Dietro il tradimento di Prigožin potrebbe quindi nascondersi una prova di forza tra lui e Putin, un avvertimento che se le cose non fossero cambiate, non sarebbero rimasti fedeli al presidente Russo. Che cosa volesse in cambio Prigožin non è dato sapersi al momento, ma il dietrofront a poche ore dalle sue dichiarazioni, desta qualche sospetto.
Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di un reale tentativo di Golpe sventato però sul nascere. È difficile pensare che il leader di Wagner non avesse un appoggio politico anche a Mosca, questo ci fa pensare che un gruppo di dissidenti potrebbe aver organizzato un piano per destituire Putin e prendere il potere, appoggiati militarmente con l’entrata a Mosca della compagnia Wagner.
LA MESSINSCENA
Un’ultima ipotesi potrebbe essere quella di una mossa strategica dello stesso Putin, idea portata alla ribalta dal dissidente politico Ponomarev, ex deputato della Duma che votò contro l’annessione della Crimea. Una messinscena utilizzata ad hoc per “spaventare sia l’élite russa che quella internazionale“, dimostrando “che non è lui la peggiore alternativa” e che c’è “un orco, Prigozhin, che nessuno nella comunità internazionale vorrebbe vedere con un pulsante nucleare in mano“.