Calciomercato: ecco perché i calciatori scappano in Arabia Saudita

Il calciomercato del 2023 verrà ricordato come quello dei sauditi. Cristiano Ronaldo, passato all’Al-Nassr dopo i mondiali in Qatar, era solo l’inizio: oggi i sauditi hanno comprato un cielo di stelle, da Benzema a Kanté fino a Neves e l’insospettabile Agudelo dello Spezia. Il prossimo, Inter permettendo, potrebbe essere Brozovic, in una sessione di acquisti e cessioni che, nei due mesi residui, può regalare ancora moltissimi colpi di scena.

Il calcio in Arabia Saudita: come funziona

L’impostazione del sistema calcio, in Arabia Saudita, non è come quello europeo, dove la UEFA ha disciplinato in maniera perentoria il regime delle multiproprietà. Pensiamo al caso di Lazio e Salernitana, con Claudio Lotito (presidente di entrambe) costretto a cedere in fretta e furia il club campano per non incorrere in sanzioni. Nel calcio mediorientale questa regola non solo non esiste ma è il governo locale a investire direttamente nel calcio attraverso la proprietà di molteplici club della massima divisione. Al-Ittihād, Al-Nassr, Al-Hilal e Al-Ahli sono tutti in mano al famigerato PIF (Public Investment Fund), che in Europa è proprietario del Newcastle e ha interessi economici anche in altri club importanti come il Chelsea. In particolare, chi tratta con i sauditi non sa da subito quale sarà il suo club di destinazione: tutto è controllato dal fondo di investimento del governo che, con l’obiettivo di rendere competitivi in modo equo tutti i suoi club, prima si assicura le prestazioni economiche del tesserato (sia esso allenatore o giocatore) e poi valuta solo in un secondo momento a quale dei suoi club assegnarlo. Una sorta di modello paritario di sviluppo del campionato, messo in piedi per accaparrarsi l’assegnazione dei mondiali del 2030 che potrebbero giocarsi proprio tra le dune saudite. 

Perché gli arabi investono nel calcio

Proprio a tale scopo, PIF sta cercando di costruire un giocattolo competitivo per persuadere gli europei della propria credibilità. La Serie A saudita ha 16 squadre in totale e un meccanismo di promozione/retrocessione in piena regola. La peculiarità. Strano a dirsi, è che il numero di stranieri in campo è limitato: possono essere “solo” 8 su 11, questo perché, seppur in misura minore, permane l’obiettivo di rendere la nazionale saudita competitiva in vista delle rassegne continentali e mondiali. Un po’ come si è visto nei Mondiali del 2022, in Qatar, dove la nazionale di Riad allenata dal francese Renard ha sorpreso i campioni del mondo argentini all’esordio e ha mostrato in generale una discreta organizzazione tattica abbinata a buone qualità tecniche. Con la migrazione di massa delle stelle della Champions League, giovani e non, il livello potrebbe alzarsi ancora. Chissà se, una volta passato il 2030, il modello saudita reggerà o se ce ne ricorderemo come oggi pensiamo agli investimenti cinesi nel calcio.