L’emergenza è a tutti gli effetti già da tempo il nuovo metodo di governo neoliberale o, se preferite, la nuova arte neoliberale di amministrare le cose, le persone. Che si tratti dell’emergenza epidemica o dell’emergenza climatica, dell’emergenza bellica o dell’emergenza energetica, e magari anche di possibili combinazioni inconfessabili tra le precedenti, l’ordine dominante fa di tutto per mettere a frutto l’emergenza stessa in chiave governamentale. La utilizza per poter attuare tutta una serie di misure che, in assenza dell’emergenza, faticherebbe a introdurre e che invece, proprio grazie all’emergenza, vengono introdotte senza incontrare opposizione e, anzi, trovando pieno favore da parte dei cittadini, riconfigurati come sudditi dal potere neocapitalistico. Bastino due esempi significativi: nessuno avrebbe mai accettato i confinamenti domiciliari coatti o l’infame tessera verde se non vi fosse stato l’ordine del discorso emergenziale in grado di far passare l’inaccettabile per inevitabile. Si potrebbe quasi asserire che l’emergenza svolga il ruolo di acceleratore dei processi fondamentali e coessenziali della globalizzazione neoliberale, norme e misure che in condizioni di normalità verrebbero ragionevolmente respinte in quanto restrittive, liberticide, oppressive e inaccettabili. Ebbene, vengono invece accettate e anzi spesso invocate come atte a fronteggiare l’emergenza dichiarata dall’ordine discorsivo egemonico. Peraltro, l’emergenza non deve sfuggire, permette quasi sempre di aggirare le normali procedure democratiche per imporre hic et nunc misure drastiche, misure fatte passare per necessitate dall’emergenza stessa e assai spesso rispondenti al programma di base della plutocrazia oligarchica neoliberale. L’abbiamo già sperimentato letteralmente sulla nostra pelle con l’emergenza epidemica legata al Covid-19.
Pare che ora sia giunto il turno di una nuova emergenza: l’emergenza verde, climatica e ambientale. Combinato disposto, appunto di questione ambientale e questione climatica. Anche in questo caso, come in quello dell’epidemia, non mancherà la posizione debole e da respingersi di chi nega a priori l’esistenza stessa del problema, con ciò lasciando intendere che se il problema esistesse, allora sarebbero anche lecite le misure intraprese. La posizione ragionevole da assumere mi pare invece quella di chi non intende questionare sull’esistenza o meno del problema, preferendo invece richiamare l’attenzione sulla inaccettabilità integrale delle misure oppressive che saranno di volta in volta poste in essere. A dover essere contestato, infatti, non è il problema in sé, che sia l’epidemia o il cambiamento climatico, ma le soluzioni che per fronteggiare quel problema sono state prese e ancora verranno prese. Esistono libertà e diritti che non possono essere sospesi e messi tra parentesi, né di fronte ai virus più letali, né di fronte al cambiamento climatico più radicale. Questo deve essere il punto fermissimo intorno al quale costruire il ragionamento critico e la strategia oppositiva, non certo la posizione debole di chi nega a priori l’esistenza stessa del problema. Posizione debole, dicevo, perché lascia intendere che se il problema esistesse, allora sarebbero anche giuste le misure. Noi contestiamo le misure in quanto tali, quale che sia il problema, poiché siamo convinti che vi sono libertà e diritti che non possono essere in alcun modo messi in questione, quand’anche vi fosse l’emergenza più radicale.
Radioattività con Diego Fusaro