Di fronte a una longevità agonistica come la sua, più che di carriera è più giusto parlare di parabola sportiva, anche per l’arco temporale lungo il quale si è sviluppata. Tanto è vero che per i meno giovani tra noi, ossia quelli che ne ricordano anche gli esordi, vale la pena chiedersi: – Chi eravamo quando ha cominciato? Chi siamo diventati nel frattempo? – per dare la misura dell’impatto di un atleta e di un personaggio come Gigi Buffon nella storia del calcio e dello sport italiano e anche come riferimento, a volte controverso, per la cultura di massa. Ma ci torneremo.
Atleta, ribadiamo, ancora prima che calciatore: proveniente da una famiglia di atleti per la cultura del sacrificio, premiato in partenza da madre natura per i parametri fisici e il campionario delle doti.
Ha senso chiedersi se sia stato il più grande portiere di sempre o, se preferite, il miglior portiere italiano in assoluto? Questi interrogativi vale la pena condividerli a beneficio del fascino di un dibattito che non si chiuderà mai e che lascerà i sostenitori delle varie tesi sempre convinti di essere nel giusto. Una cosa è certa, come dato oggettivo e di conseguenza non opinabile: quale che sia la graduatoria dei migliori di ogni epoca, internazionale o nazionale, dal suo nome non si può prescindere, perché nel tempo è diventato addirittura un termine di paragone. Questa è la testimonianza di una grandezza assoluta, al di là di fantomatiche graduatorie che potrebbero essere sempre messe in discussione.
Che portiere è stato? Evolutivo, lo definiremmo, rispetto alla floridissima scuola italiana di portieri che ha avuto alle spalle: dopo una serie di funamboli tra i pali e in uscita, con lui si è materializzato un vero e proprio acrobata, completo in ogni situazione di opposizione alle soluzioni offensive avversarie. Poco avvezzo all’uso dei piedi, se non in modo essenziale, anche in questo è stato un figlio del secolo scorso, essendo in classe ‘78; però si è adattato, sempre ai massimi livelli, alla modernizzazione progressiva del ruolo. La sequela dei suoi record, ancora più che dei suoi trofei, è la punteggiatura di un discorso tecnico eccelso. Aggiungiamo che il carisma del quale hanno beneficiato tutti quelli che gli sono stati compagni, non soltanto i difensori, è un volume a parte nell’enciclopedia di una storia gloriosa.
Non è possibile, né sarebbe giusto, parlare di Buffon senza chiamare in causa alcune criticità comportamentali o dialettiche che lo hanno visto sovraesposto presso i media e l’opinione pubblica nel corso degli anni; è fisiologico che l’Italia non juventina li ricordi con maggiore vividezza: la tabaccheria di Parma, la vicenda di quello che venne definito il “finto diploma”, le ipotizzate simpatie fasciste, alcuni virgolettati discutibili come – meglio due feriti che un morto – e – anche se l’avessi visto non l’avrei detto all’arbitro -. Peccati veniali per una parte del pubblico, macchie indelebili per l’altra, spesso col tifo a far da spartiacque.
Vale la pena ribadire un concetto, ossia la differenza tra un personaggio popolare, quale può essere un calciatore, un attore, un cantante, e un personaggio pubblico come un politico o chi ha in generale responsabilità istituzionali. In questo senso, potremmo dire che ci saremmo sentiti molto più tutelati come cittadini se la classe politica nel nostro paese avesse evidenziato quella soglia di imbarazzi, piccoli o meno piccoli, per i quali ogni tanto è stato criticato Buffon, del quale è bene ricordare tutto, come per ogni personaggio, ma che come calciatore va giudicato soltanto per quello che, per un’era calcistica di durata geologica, ha esibito sul terreno di gioco.
Paolo Marcacci