L’Italia risulta all’ultimo posto per quel che concerne i neolaureati con occupazione.
Si trova la notizia su tutti i principali quotidiani, da Repubblica al Fatto Quotidiano.
Ebbene, solo sei neolaureati su dieci trovano immediatamente un lavoro nel nostro paese.
Gli altri quattro su dieci restano, come usa dire, senza una occupazione. È un dato davvero scoraggiante, invero, che viene in questi giorni discusso e presentato con una vena di mestizia, anche se poi, naturalmente, per l’ordine del discorso imperante, i temi prioritari sono altri, come ad esempio gli immarcescibili capricci dell’arcobaleno per certi ambienti di consumo o naturalmente le ragioni dell’imperialismo della Nato in funzione antirussa e anticinese.
Il dato tuttavia ci segnala, una volta di più se ancora ve ne fosse bisogno, che la questione lavorativa continua in realtà a essere il problema principale in Europa e forse in misura anche maggiore che altrove nel nostro bel Paese.
La verità non detta, giacché non dicibile, è che i giovani oggi vivono nel tempo delle aspettative calanti e del futuro mutilo.
Si trovano a essere, per così dire, dominati sia nella struttura sia nella sovrastruttura.
O direbbe Antonio Gramsci, dominati e subalterni. Per un verso i giovani oggi sono senza lavoro e condannati al precariato esistenziale lavorativo. Vivono in una condizione di aspettativa calante rispetto ai padri ed è la prima volta che accade dagli anni ’50 ad oggi che le nuove generazioni vivano con meno prospettive rispetto ai padri.
Per un altro verso, anziché insorgere come giusto sarebbe fare, i giovani oggi celebrano il mondo della globalizzazione neoliberale come se fosse la democrazia perfetta, quella che deve essere protetta rispetto a tutto ciò che possa variamente metterla a repentaglio, indistintamente e immediatamente liquidato e combattuto come eterno fascismo.
Ebbene, i giovani avrebbero tutte le sacrosante ragioni oggi per opporsi alla globalizzazione neoliberale e per difendere il tema del lavoro, del salario e dei diritti sociali. Diciamolo ancora in maniera più radicale. Ci sarebbero oggi gli elementi per dieci rivoluzioni come quella francese e venti come quella russa. E invece, complice la grande narrazione ideologica e il martellante operato del mainstream, i giovani tacciono. O meglio, scendono in piazza per gli arcobaleni e per i capricci di consumo, del tutto disinteressati alla questione lavorativa, quella che, per come abbiamo mostrato, va ogni giorno di più colpendo le loro vite.
Come sempre non vi è schiavo migliore di quello che non sappia di esserlo, e che anzi si batte in difesa delle proprie catene.
Ecco perché il mito della caverna di platone continua a parlarci di noi e continua a mostrarci la condizione umana anche nel tempo della globalizzazione neoliberale popolata come di schiavi che non sanno di esserlo e che di più si battono per poter rimanere perennemente in schiavitù.
Radio Attività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro