Settembre 1976.
Un uomo entra in un ristorante del centro di Monza. Appena ne varca la soglia, un brusio di stupore si propaga per tutta la sala. Gli si fanno incontro due camerieri, molto emozionati. Molto emozionati per due motivi, è il caso di aggiungere. Quell’uomo entra a poche settimane dall’incidente del Nürburgring. Anche in questo caso occorre essere più precisi, evidentemente: in quella sala è appena entrato il nuovo Lauda, che sul viso porta ciò che resta di lui a causa del fuoco, mentre nella testa e nel cuore è pieno di quella forza di volontà che ha la tempra dell’acciaio e per mezzo della quale è riuscito ad attraversare le sue recentissime sofferenze.
Appena estratto dall’abitacolo, il primo di agosto, sentendosi friggere mezza testa aveva chiesto ad Arturo Merzario come fosse diventato il suo viso. La risposta ha cominciato a leggerla nello specchio, appena gli è stato possibile; ma il riscontro più autentico alle sue impressioni glielo ha potuto fornire soltanto il ritorno alla vita pubblica, soltanto lo specchio dello sguardo altrui. Ecco perché quei due camerieri hanno due motivi per essere emozionati: è appena entrato in sala Niki Lauda; ha avuto il coraggio di entrarci col Nürburgring sul volto. Ora comincia a prendere corpo quella risposta che Merzario non era stato in grado di dare, mentre la nuvola bianca degli estintori cercava di mangiarsi quella nerissima del carburante, dell’olio e dei componenti della Ferrari che cominciavano a fondere, mentre la temperatura si accaniva tra l’orecchio e la fronte del pilota.
Uno dei due camerieri domanda a Lauda con discrezione, a bassa voce, pensando di fargli un favore e di usargli una cortesia, se per caso non preferisca cenare in una saletta riservata. Lui quasi si risente, per la proposta; risponde chiedendo di essere sistemato nel tavolo più centrale possibile, magari proprio davanti alla porta d’ingresso, così tutti potranno vedere come – o cosa – è diventata quella faccia, con l’orecchio quasi sciolto tra le piaghe, le ustioni ancora livide e le ferite quasi sanguinanti. Una faccia non si sceglie, quando si viene alla luce; una faccia si sceglie se ci si chiama Niki Lauda nei giorni che seguono il primo di agosto del 1976 e si ha la forza di rispondere – No, grazie – a Ivo Pitanguy, brasiliano, il chirurgo plastico più celebre e richiesto al mondo.
Lauda gli si rivolge per risolvere un problema riguardante la ridotta estensione delle palpebre, dopo l’incidente; quando però Pitanguy gli si offre per una ricostruzione facciale completa, Lauda rifiuta senza esitazioni: – Ho solo dovuto fare un intervento chirurgico per migliorare la vista. La chirurgia estetica è noiosa e costosa e l’unica cosa che potrebbe darmi è un’altra faccia. Mi sono operato così che i miei occhi possano funzionare, e fino a quando tutto funzionerà, non ci penserò. – Tornando sulla questione, anni dopo dirà: – Mi offrivano cure estetiche da tutte le parti. Ivo Pitanguy, il più famoso chirurgo plastico del tempo, voleva operarmi e mi chiese: ‘Sei pazzo? Perché non vuoi che lo faccia?’. A me semplicemente non piaceva l’aspetto che avrei avuto. Penso sia sbagliato, se ti sei operato la gente se ne accorge: la cosa importante di un intervento è che non si deve notare. Non sopporto la chirurgia estetica. Devi avere abbastanza personalità da superare la questione della bellezza e trovare la forza di volerti bene per come sei. – È molto più semplice indossare un cappellino, sponsorizzato, da esibire in pubblico per tutta la vita. Nessuno può decidere quale sia il tempo giusto per gli altri. Figurarsi per un pilota di Formula Uno, che trascorre la sua vita sportiva tentando di dominarlo, quel tempo. Figurarsi, a maggior ragione, se quel pilota è Niki Lauda, che per quattro giorni lotta con la morte all’ospedale di Mannheim, ricevendo addirittura un’estrema unzione, quindi viene dichiarato fuori pericolo e, in condizioni ancora gravi viene trasferito all’ospedale di Ludwigshafen, dove c’è un avveniristico reparto per il trattamento dei grandi ustionati.
Nei primi giorni dopo l’incidente, la pubblica opinione ritiene molto più probabile che il Campione del mondo non ce la faccia a sopravvivere, piuttosto che un suo ritorno alle corse. Forse in quel ristorante di Monza più che emozionati, oltre che sconvolti dal suo viso, sono increduli per averlo visto in piedi a meno di un mese dal rogo del Nürburgring; forse pensano che al tavolo della sala centrale voglia sedersi un fantasma. Allora deve trattarsi dello stesso fantasma che telefona a Maranello il martedì precedente il fine settimana del Gran Premio di Monza. Chiede che a Fiorano preparino la “sua” monoposto perché vuole effettuare dei test per tornare a correre; anzi: per tornarci in tempo per il Gran Premio d’Italia.
Due righe, per dire chi è stato, anzi chi ha saputo essere Niki Lauda.
Paolo Marcacci