La notizia di cronaca dello stupro di Palermo ha destato ovunque scalpore, e ci mancherebbe.
In sette, tra i 17 e i 22 anni, hanno commesso l’orrendo atto nei confronti della diciannovenne palermitana lo scorso 7 luglio.
Oltre al danno, anche un video è stato girato e prontamente diffuso in rete: venti minuti di violenza tutti registrati e diffusi.
Il caso è poi diventato di interesse nazionale, arrivando alle ipotesi di proposta riguardo alla castrazione chimica, anche da parte di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture: “Potrebbe servire come dissuasione nei confronti di chi non definisco neanche bestie“.
I giovani criminali si limitano a chiedere “scusa”. Qualcun altro, amici degli stupratori, chiede al popolo di smettere di insultare.
Ma per i sette arriva la galera. Lo stesso carcere richiede poi per “motivi di ordine e sicurezza” che vengano spostati altrove.
E’ partita poi però la macchina della morale, in particolare quella riservata a portare acqua al mulino dei più che sostengono che la colpa sia dell’intera categoria dei maschi. Il reato diventerebbe dunque collettivo, e a fare le scuse, secondo tanti, dovrebbero essere tutti “i maschi” in generale. Il tutto non può però soffermarsi e limitarsi all’ipotetica e propagandata “violenza di genere“: è la base educativa che deve occupare il dibattito. Da mettere al centro del tavolo è quella superficialità dilagante, quel materialismo da tanti condannato e da troppi invece giustificato in nome del “progresso”. Ovviamente, da non risparmiare sono le critiche al modello educativo.
Ed è ciò che il filosofo Paolo Crepet vuole ribadire in diretta a Un Giorno Speciale.
“La famiglia ha perso il suo senso – spiega Crepet – il suo orientamento: non riesce più a fare altro che registrare ciò che avviene, non riesce a prevedere ciò che avviene. Una ragazza non si sfiora neanche con un fiore. La si rispetta, l’amore è fatto così, non ha senso se non col rispetto. Abbiamo celebrato la competizione fino ad arrivare a questo. Contemporaneamente abbiamo tolto la bellezza della frustrazione. Se io vado a scuola non preparato e lo so, e mi interrogano e faccio una pessima figura, tutto questo è molto positivo.
Perché mi fa capire i miei limiti, mi fa capire che non devo fare il furbetto nella vita.
La frustrazione è parte di questa e noi l’abbiamo tolta radicalmente: questo è uno dei motivi per cui penso che la famiglia sia fallita, perché l’educazione è fallita“.