Da anni sui giornali si rincorrono analisi su motivazioni e conseguenze sul covid. Basti pensare all’attribuzione della nascita del virus, che per alcuni è passata ad animali come il pipistrello o il pangolino. Si sono lette attribuzioni legate alla diffusione tra gli umani che hanno avuto anche relazioni con le caratteristiche genetiche umane. Ora si è arrivati anche a parlare dei nostri primi antenati: “Covid, per l’Istituto Mario Negri, ‘le forme più gravi e la strage nella Bergamasca sono dovute al gene Neanderthal”. Questo il titolo apparso qualche giorno fa su “Repubblica”.
Un articolo che, nel rispetto per il dramma vissuto da tantissime famiglie, scatena la reazione amara di Fabio Duranti: “Sembrerebbe l’uomo che di Neanderthal abbia trasmesso dei geni che hanno aggravato, guarda caso, proprio quel tipo di malattia, cioè questo Covid artificiale. Perché a Bergamo sono tutti dei Neanderthal, cioè l’uomo di Neanderthal si è sviluppato a Bergamo e in 200.000 anni, perché l’uomo dei Neanderthal è vissuto tra i 200.000 e i 30.000 anni, si sono riprodotti solo fra di loro e quindi solo loro si sono ammalati“.
Il ricercatore Dottor Barbaro fa chiarezza su questa teoria: “Se facciamo riferimento ai coronavirus parainfluenzali classici, o ai virus influenzali classici, non mi sembra che ci sia stata a Bergamo, anche nel passato, una strage che si potesse correlare a una particolare struttura genetica di quella popolazione derivata da oltre 30.000 anni fa”.
Eppure la notizia è stata ripresa da molti quotidiani, con forte accento sulle responsabilità dei geni provenienti dai nostri antenati, continua Barbaro: “Il problema è che non vorrei che sotto queste ricerche ci sia in realtà una finalità di voler giustificare quello che è successo, per giustificare quelle morti che al contrario, a mio giudizio, sono state legate proprio a circolari del tipo “tachipirina e vigile attesa”. Morti comunque dovute a un’alterata gestione della pandemia e anche al mancato trattamento dei pazienti. La pandemia di Covid è esplosa in Italia a Bergamo e ha avuto una maggiore mortalità, però noi sappiamo perché, perché i pazienti non sono stati trattati, è mancato il territorio, c’è stata una pressione ospedaliera che ha impedito una gestione adeguata di pazienti che arrivavano già in fase terminale. Anche se avessero avuto questa struttura genetica particolare, come mai hanno risposto bene a trattamento antinfiammatorio precoce?”