In merito all’inflazione ci sono due notizie, una buona e una meno buona.
La buona notizia sembrerebbe essere l’anticipazione dell’inflazione del mese di ottobre che l’Istat comunicherà il 31 ottobre. Secondo le stime, se la variazione rispetto a settembre fosse dello 0,3%, l’indice dovrebbe attestarsi attorno al 2,2%, cioè sarebbe più che dimezzato rispetto al 5,3 rilevato a settembre. La cattiva notizia però è che si tratta di una magra consolazione, per tutti i consumatori i cui ricavi, se persone fisiche, ditte individuali, piccole imprese o redditi, se lavoratori dipendenti, non riescono a seguire l’andamento dei prezzi e si trovano quindi a subire una perdita di potere d’acquisto reale.
Il paniere dei beni, rilevato dall’Istat per calcolare l’inflazione, aveva un valore 100 nel 2015 salito a 105 nel settembre 2021 e in soli 24 mesi decollato a 122,1. Cioè cosa vuol dire? Vuol dire che in percentuale i prezzi ci hanno messo sei anni per crescere di un modesto 5,7%, cioè sono cresciuti in sei anni del 5,7%, ma poi sono bastati due anni per una crescita quasi tripla. e di fronte a questo tsunami dell’inflazione il governo Meloni per forza è obbligato e ha riproposto un taglio dei contributi a carico dipendente partito a luglio scorso in misura piena per il reddit inferiore a 25 mila euro ha inoltre elevato una no tax area fino a 8.500 euro e accorpando le aliquote IRPEF ha consentito ai redditi fino a 28 mila euro di beneficiare di un’aliquota marginale del 23 per cento invece che del 25 per cento. Il problema però è che in 24 mesi c’è stato un prezzo triplo rispetto a quello registrato nei sei anni precedenti. L’inflazione è triplicata in 24 mesi e il governo tenta di scavalcare a sinistra i sindacati Ma questa cosa, però, basta? Probabilmente no.
E poi il problema è che ci saranno quelli che parleranno di sfascio dei conti quando aumenterà lo spread. La verità è che qui si continua, ripeto, a parlare di finanza e non si capisce che le persone hanno bisogno di avere posti di lavoro e quindi bisogna per forza cambiare strada, capire che si deve andare verso un’economia umanistica, porre al centro l’uomo le imprese, l’economia, gli investimenti, la produzione, abbandonare quella gabbia di matti che si chiama Unione Europea e tornare a fare una politica nazionale di difesa delle famiglie e delle imprese.
Malvezzi quotidiani – L’economia umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi